Lessico

sf. [sec. XIII; dal greco metà physiká, (libri) successivi a quelli sulla fisica].

1) Parte della filosofia che studia il campo vasto e indeterminato, dove l'esperienza sensibile non può entrare e dove la realtà, ammesso che sia esistente e conoscibile, è puramente razionale e quindi attingibile solo con l'intelligenza o per intuizione.

2) Per estensione, spregiativo, dottrina, teoria o concetto astrattamente cerebrale, senza alcun rapporto con la realtà concreta.

Filosofia: teologia

In origine il termine metafìsica designò semplicemente l'ordine dato da Andronico di Rodi alle opere di Aristotele, nelle quali egli aveva collocato i libri della “filosofia prima” dopo quelli sulla natura. Ma poiché la filosofia prima riguardava tutta la realtà trascendente la natura, il titolo finì per definire lo stesso contenuto, cioè lo studio dell'ente in quanto ente. In senso generale una metafìsica è possibile e valida solo ammettendo una realtà esistente al di là della natura e allora diventa scienza delle cose ultime e dei principi supremi di tutte le cose. In questo senso la metafìsica si presenta come: teologia, ontologia e gnoseologia. Come teologia la metafìsica è la ricerca di Dio come Essere perfetto e Causa di tutti gli altri e Platone la vede in questa luce quando nella graduatoria delle varie scienze mette al primo posto quella che ha per oggetto “ciò che è ottimo ed eccellente”, collocando a un livello decisamente inferiore tutte le altre scienze. Aristotele accetta la metafìsica come teologia, ma la intreccia all'ontologia, soffermandosi con maggiore insistenza sullo studio dell'essere in quanto essere e tenendo invece sospesa l'argomentazione sulla metafìsica come teologia in una fluida posizione ipotetica. Alla metafìsica teologica aderisce in toto Plotino, per il quale “vere scienze” sono solo quelle che hanno per oggetto l'intelligibile, cioè la realtà suprema, mentre degrada tutte le altre al grado di “opinioni”; una metafìsica teologica si riscontra ancora in Spinoza, avendo la sua filosofia come oggetto l'ordine necessario del mondo e presupponendo quindi la mente ordinatrice di Dio; nella filosofia di Hegel il quale afferma che “la filosofia ha i suoi oggetti in comune con la religione”, perché entrambe ricercano la verità, che nella sua accezione più alta può solo identificarsi con Dio. Ancora teologica è la posizione metafisica di Bergson, che pretende di entrare in contatto con “una realtà privilegiata di natura divina” e quella dello stesso Croce, che incentra la sua filosofia sulla “storia eterna dello spirito universale”. A queste filosofie si aggiungono le molteplici forme di spiritualismo.

Filosofia: ontologia

La metafìsica è strettamente connessa all'ontologia o studio dell'essere. Aristotele porta a suo sostegno l'argomentazione seguente: poiché determinate scienze studiano l'essere particolare, è necessaria una scienza che si applichi esclusivamente allo studio delle determinazioni necessarie dell'essere e che formuli una teoria definita sull'essenza necessaria, sull'inerenza e sull'essere esistenziale. Egli definisce l'essenza necessaria (o sostanza) “ciò che un essere non può non essere” o ancora “la sostanza di una cosa non è altro che l'essere proprio di essa”. Per Aristotele non vi sono gradi o privilegi fra le sostanze, perché in quanto tali Dio e il filo d'erba sono sullo stesso piano, né vi è differenza fra le scienze che le studiano, perché la fisica studia la sostanza in movimento, la matematica la sostanza come quantità e la metafìsica la sostanza in quanto tale. L'unica priorità della metafìsica è di carattere logico, fondata a sua volta sulla priorità ontologica del proprio oggetto. San Tommaso restringe il campo della metafìsica aristotelica, escludendone Dio in quanto in Lui l'essere e l'esistenza si identificano e sono quindi distinte dall'essere e dall'esistenza delle creature, che sono invece separabili. La conoscenza di Dio è oggetto della sola teologia; che perciò assume carattere di priorità sulla stessa metafìsica, ricevendo, a differenza di tutte le altre scienze, i suoi principi direttamente da Dio. Gli esseri creati possono servire a dare un'immagine di Dio solo anagogica. Duns Scoto invece riporta la priorità della metafìsica, negando il senso anagogico; egli però mantiene alla teologia una priorità di valore dando alla metafìsica solo una priorità logica. Questa distinzione verrà mantenuta e porterà a distinguere sempre più nettamente i confini fra teologia e ontologia fino a quando, nel sec. XVII, il distacco dell'ontologia dalla teologia sarà ormai completo, mentre diventano meno marcati i suoi confini con i dati dell'esperienza e presto l'ontologia sarà considerata un'“ordinata e sistematica esposizione dei caratteri fondamentali dell'essere, che l'esperienza presenta in modo costante”. È questo il concetto di ontologia professato da Wolff, che si adopera a togliere ogni contrasto fra l'apriorismo deduttivo della metafìsica e l'esperienza. Come tale l'ontologia fu sostenuta dagli stessi illuministi, che la vedevano (o l'auspicavano) “più attaccata alla terra” e più vicina all'uomo. Su questa strada l'ontologia perde la sua sistematicità e diventa descrittiva, limitandosi a registrare e osservare i tratti dell'esistenza, inclusa naturalmente la riflessione umana e le condizioni in cui essa opera: come tale è acquisita anche da Dewey e da J. H. Randall.

Filosofia: gnoseologia

La metafìsica fu il campo specifico di Kant, anche se il concetto era già stato espresso da Bacone come scienza universale, madre di tutte le altre e via comune di tutte le dottrine prima che ognuna segua il proprio indirizzo. Kant ha in comune con Bacone l'insistenza sui principi della scienza più che sul suo oggetto. Egli infatti definisce la metafìsica lo studio dei principi conoscitivi, che sono costitutivi di ogni ragione finita e quindi anche di quella umana. Nel pensiero kantiano ontologia e critica coincidono quale unico modo per dare a una metafìsica un valore scientifico. Di questa critica ontologica fanno parte la metafìsica della natura e la metafìsica dei costumi, la prima comprendente “tutti i principi razionali puri derivanti da semplici concetti della scienza di tutte le cose”; la seconda comprensiva dei “principi che determinano a priori e rendono necessario il fare o il non fare”. La metafìsica kantiana è quindi una scienza di concetti puri, per cui la conoscenza da essa derivata astrae da ogni esperienza. La continuazione storica della metafìsica kantiana si ritrova in Husserl, il quale però non si richiama ai principi generalissimi, ma a quelli che costituiscono il fondamento di una scienza o di un gruppo di scienze. Ne deriva un'ontologia “regionale”, nella quale ogni scienza fonda i suoi dati di fatto e di esperienza. N. Hartmann ritorna invece a un'ontologia generale, fondata, al pari di Husserl, sul presupposto fenomenologico: egli distingue fra essere ed ente e mette questo a oggetto dell'ontologia evidenziando in essa il modo con cui l'essere è dato all'esperienza fenomenologica (datità dell'essere). Nello stesso senso si esprime l'ontologia di Heidegger, che parte dall'essere di un ente determinato per giungere alla determinazione del senso dell'essere. Fino a questo punto le diverse metafìsiche (a eccezione di quelle di Dewey e di Randall) erano fondate sul presupposto del carattere primario e necessario della metafìsica, ma nella filosofia contemporanea tale presupposto cade, anche se la metafìsica ha ancora una funzione attiva nell'indagine conoscitiva: essa entra nel problema del significato (o dei significati) da attribuire all'esistenza secondo il linguaggio delle diverse scienze e partecipa al problema delle relazioni fra le varie scienze e della ricerca sugli oggetti, che si collocano nei punti d'incontro fra una scienza e l'altra. Per quanto riguarda il significato di esistenza Quine dichiara di accettare l'ontologia come una teoria scientifica, che ci colloca ordinatamente in uno schema concettuale semplice i dati presentati disordinatamente dall'esperienza grezza; Carnap accetta sostanzialmente la posizione di Quine, anche se riluttante ad accettare il termine “ontologia”, in cui ravvisa legami con la metafisica. K. Popper individua nella falsificabilità, il criterio di demarcazione tra scienza e metafìsica. Nel suo percorso filosofico rivalorizza nel tempo il ruolo della metafìsica, attribuendole kantianamente una funzione di stimolo al progresso della scienza stessa. Secondo il filosofo tutte le teorie, scientifiche e non, prendono avvio da assunti metafisici: non derivano da procedimenti induttivi nati dalla sperimentazione della realtà, ma sono originati da processi mentali intuitivi espressi in forma deduttiva. Il controllo empirico è importante non perchè conferma la teoria, ma per la possibilità di smentirla. La sperimentazione ha quindi una funzione rilevante ed esclusivamente negativa: non costruisce, ma demolisce. La metafìsica ha Il compito di costruire. I. Lakatos, allievo di Popper, rivaluta ulteriormente il ruolo della metafìsica nella scienza, mettendo in evidenza come le teorie scientifiche siano costituite da nuclei fondamentali non sperimentabili, né falsificabili. Scienza e metafìsica sono - per il filosofo - un tutt'uno poiché la scienza non si limita a recepire l'evidenza fisica dei fenomeni, ma tende a ricercare la causa prima in un tentativo che l'accosta alla ricerca metafìsica. Sul problema delle relazioni fra le diverse scienze la metafìsica tradizionale è sostituita dalla metodologia, che però non ha la pretesa di stabilire compiti e limiti a ciascuna scienza, ma intende solo ordinare l'universo concettuale in modo che risulti favorita la comunicazione tra una scienza e l'altra senza che sia menomata l'autonomia di ognuna di esse. A questo scopo, a ogni fase della ricerca, sono problematizzati i rapporti fra le varie scienze per il vantaggio delle singole e per il retto uso che di esse può fare l'uomo.

Filosofia: il pensiero contemporaneo

Un rapido sguardo riassuntivo alla filosofia contemporanea sul problema della metafìsica vede come dominanti la filosofia analitica e il neopositivismo logico rifiutare ogni discorso metafìsico come vuoto e insignificante cercando di risolvere la filosofia nella metodologia della scienza. Ciò ha avuto come effetto però una riproposizione del problema metafìsico in forma più critica: a questa riproposizione della metafìsica (ora intesa come ontologia fondamentale ora come teologia speculativa) sono interessate alcune fra le più vive correnti del pensiero contemporaneo (per esempio certe forme di esistenzialismo o di neorealismo, cui si aggiungono nuove edizioni delle forme di pensiero tradizionale). Lo strutturalismo, avverso a ogni speculazione che concepisca la coscienza come semplice espressione della soggettività, estende al campo filosofico metodologie di analisi diffuse in linguistica e nelle scienze umane. Alcune correnti di pensiero, richiamandosi alla seconda fase del pensiero di Heidegger, pervengono a una riduzione della metafìsica a una retorica intesa come analisi delle inesauribili possibilità interpretative del testo filosofico e allo smascheramento della metafìsica nella decostruzione. È poi bene notare che nell'ambito stesso della filosofia analitica si sono fatte sentire tendenze a un recupero del discorso metafìsico-teologico e che il neopositivismo logico ha ormai perso molto dell'aggressività originaria sicché è vivo oggi più per le sue affermazioni che per le sue negazioni.

Bibliografia

R. Bayer, Histoire de la philosophie metaphysique, Parigi, 1950; F. Olgiati, I fondamenti della metafisica classica, Milano, 1950; R. Arnou, Metaphysica generalis, Roma, 1955; M. Gentile, Come si pone il problema metafisico, Padova, 1955; J. Hessen, Die Methode der Metaphysik, Bonn, 1955; C. Giacon, I primi concetti metafisici, Bologna, 1968; A. Alessi, Metafisica, Roma, 1992.

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