Lessico

sm. [latino arātrum]. "Per gli aratri primitivi vedi disegni al lemma del 2° volume." "Per gli aratri primitivi vedi i disegni a pg. 338 del 2° volume." Attrezzo usato per la rottura del terreno e la sua preparazione per la semina.

Agraria

I tipi di aratro attualmente in uso si differenziano in diverse categorie a seconda del sistema di attacco alla motrice (aratri trainati, aratri semiportati e aratri portati) e del tipo di utensile applicato (utensile fisso e utensile folle). Si hanno inoltre aratri ordinari, che compiono il solo rivoltamento dello strato che lavorano, e aratri speciali, che provvedono al compimento di più lavorazioni contemporaneamente o no al rivoltamento dello strato superficiale del terreno. Diverso, infine, è anche il sistema di comando e di regolazione degli organi di lavoro, sistema che può tuttavia trovarsi installato su ciascun tipo di aratro. A seconda del tipo di utensile adottato, si hanno: aratri rovesciatori ordinari (a utensile fisso) e aratri a disco (a utensile folle). I primi presentano molti tipi, ma posseggono tuttavia organi fondamentali di comune ispirazione che possono essere divisi in tre categorie a seconda della loro funzione; organi operatori: coltro (o coltello), vomere e versoio (o rovesciatoio od orecchio); organi di collegamento, sostegno e guida: bure (o freccia), suola, stegola; e organi di regolazione, che presiedono alle operazioni di interramento e sterramento degli organi di lavoro e alla regolazione della profondità e larghezza di lavoro. Il coltro ha la funzione di operare il taglio verticale della fetta del terreno; ha la forma di un robusto coltello di acciaio a bordo tagliente. Il vomere ha la funzione di operare il taglio orizzontale della fetta alla profondità voluta e consiste in una robusta piastra di acciaio di forma trapezoidale. Il versoio ha il compito di produrre il rovesciamento di lato della fetta in precedenza tagliata dal coltro e dal vomere. Consta di una parte principale che effettua la prima rotazione di 90º e di un'appendice che provoca la successiva rotazione di 45º e quindi il rovesciamento del terreno. Vomere e versoio sono strettamente collegati fra loro. La bure, consistente in una robusta trave rettilinea o curva verso il basso, è il principale organo di collegamento dell'aratro; alla sua parte posteriore sono fissati gli organi operatori. La suola, una piastra allungata di acciaio, collega la bure al corpo dell'aratro. Negli aratri a trazione animale sono previste le stegole, costituite da una o due aste, applicate alla parte posteriore delle buri; esse servono all'operatore per regolare e dirigere la marcia dell'aratro. Le operazioni di interramento e di sollevamento nei moderni aratri a trazione meccanica diretta possono essere svolte con comando meccanico o idraulico. Per gli aratri portati queste operazioni vengono effettuate tramite il dispositivo di sollevamento idraulico e il sistema di attacco a tre o a due punti. Le operazioni di regolazione della profondità e della larghezza del lavoro si attuano mediante dispositivi meccanici o mediante sistema idraulico con pompa a martinetto. In genere gli aratri sono provvisti di un carrello a ruote o di un semplice trampolo che servono di sostegno per la bure (avantreno rigido o articolato). Le esigenze funzionali e agronomiche hanno portato a creare, nell'ambito degli aratri a utensile fisso, una vasta gamma di tipi, cosiddetti speciali: aratri polivomeri (bivomere, ecc.), dotati di più corpi lavoranti completi, possono aprire perciò più solchi contemporaneamente; aratri a bilanciere (mono o polivomeri) cioè formati da due aratri completi riuniti per le estremità anteriori delle buri e portanti corpi lavoranti rispettivamente a destra e a sinistra atti a rovesciare la fetta sempre dallo stesso lato; vengono impiegati nell'aratura meccanica a trazione funicolare; aratri affossatori, con corpo operatore formato da un vomere unico, simmetrico, e da due versoi uguali volti da bande opposte, serve per l'apertura di fossi; aratri doppi e aratri voltaorecchio, constano di due distinti corpi operatori (uno destro e uno sinistro) installati simmetricamente l'uno al di sopra e l'altro al di sotto della medesima bure; aratri ripuntatori, permettono di operare, tramite una vangheggia posteriore, la rottura del terreno in profondità senza tuttavia portarlo in superficie; aratri ravagliatori, contrariamente a quanto fanno gli aratri ripuntatori, portano in superficie la terra del sottosuolo, mediante il ravagliatore; aratri fognatori, o aratri talpa, servono ad aprire nel terreno dei canaletti sotterranei utili per lo smaltimento delle acque in eccesso. Negli aratri a disco (a utensile folle) gli organi di sostegno e di regolazione si rifanno ai criteri già visti per gli aratri rovesciatori, mentre differiscono per gli organi operatori che consistono in uno o più dischi a forma di calotta sferica e a bordo tagliente, ciascuno dei quali è folle su un perno centrale. Ogni disco funge contemporaneamente da coltro, vomere e versoio. I dischi possono essere indipendenti (aratri standard) e collegati poi rigidamente al telaio portante; oppure possono essere montati folli sullo stesso asse (aratri verticali). Allo stato attuale non sembra che questi aratri possano sostituire i rovesciatori se non per lavori leggeri e di scarsa profondità.

Etnologia

L'uso dell'aratro come attrezzo agricolo è assai tardo rispetto alla scoperta dell'agricoltura e la sua comparsa si ebbe, forse non prima del IV millennio a. C., in Mesopotamia (aratro a chiodo, di legno); nelle Americhe, nell'Eurasia subartica, nell'Asia insulare e nell'Africa a S del Sahara, l'aratro non era usato neanche da genti che pure allevavano bestiame di grossa taglia. Dato che i primi aratri erano in legno, sono stati ritrovati finora solo rari reperti che testimoniano l'origine e l'evoluzione di questo attrezzo: sappiamo, anche attraverso disegni su papiro e incisioni, che subì graduali modifiche nel tempo e che nel III millennio a. C. era diffuso in tutta l'area mediterranea e forse in Cina; notevole il modello in terracotta rinvenuto nell'isola di Cipro, a Vounos. Dal II millennio l'aratro è già tecnicamente evoluto, con la stiva collegata mediante un piolo trasversale alla bure che veniva legata a un doppio giogo. In Europa, nell'area della civiltà danubiana, si cominciò a usare l'aratro solo dopo il II millennio a. C.; le testimonianze risalgono però all'Età del Bronzo (reperto delle palafitte di Ledro, nel Trentino; incisioni rupestri di Monte Bego, nelle Alpi Marittime). Questi primi aratri pare che derivino dalle zappe in legno preistoriche; erano costituiti da un lungo palo (timone) a un estremo del quale era fissato, a formare un angolo acuto, un corto palo aguzzo (aratro a chiodo). Tuttavia, dalla forma del corpo lavorante, sembra che non pochi tipi di aratro derivino dalla vanga e altri addirittura dal bastone da scavo (secondo H. Kothe e vari studiosi moderni). L'aratro a chiodo fu, con l'avvento dei metalli, attrezzato prima con un corpo lavorante fatto di legno rivestito di metallo e poi esclusivamente di metallo (aratro semplice); in epoca romana erano usati aratri con vomere e avantreno e, già nei primi secoli dell'era attuale, aratri a orecchio, alcuni provvisti di ruote e altri di un rudimentale dispositivo meccanico di legno che avrebbe dovuto consentire la semina per file parallele, ma che non ebbe alcun successo. La diffusione dell'aratro a orecchio provvisto di ruote si ebbe però solo a partire dal sec. XIII; con il progresso della tecnologia la forma e la funzione degli aratri sono andate cambiando e perfezionandosi fino a giungere alle complesse macchine moderne.

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