Definizione

Sm. fr. Gergo; insieme di termini particolari, tipici di gruppi o categorie con caratteristiche sociali o professionali comuni (studenti, ambiente letterario, ecc.). La natura dell'argot è complessa, perché ha in sé tre elementi fondamentali: l'origine di gergo della malavita; il carattere di fraseologia con aspetti tecnici che riflettono una cultura e una mentalità particolari; la qualità di “segno” di una collocazione sociale precisa. L'argot parigino è invece la fusione di gerghi professionali e del vecchio argot della malavita.

Cenni storici

Nato come gergo della malavita e dei mendicanti del sec. XII in Francia, organizzati nella confraternita Argot, era un linguaggio segreto, usato per caratterizzare e tenere uniti i membri e per difenderli dal resto della società. Fino al sec. XIX, l'argot ha mantenuto il carattere di lingua segreta, anche se i suoi rapporti con il linguaggio popolare erano molto stretti, ponendosi, nella pratica, come seconda lingua del popolo. Con il sec. XIX, per il cambiamento di alcuni aspetti della malavita (rottura parziale dell'isolamento, scomparsa delle grosse bande, distruzione dei vecchi quartieri), l'argot cessò di essere un linguaggio segreto e si fuse a poco a poco col linguaggio popolare.

Linguistica

L'argot sostanzialmente consiste, come ogni linguaggio speciale, in una trasformazione e invenzione di vocaboli, conservando pronuncia e grammatica della lingua comune. Questa trasformazione avviene attraverso due procedimenti: sostituzione di vocaboli per nascondere il significato della parola (per esempio, beau, bello, sostituito con bath, chouette, girond); deformazione della parola per nasconderne la forma (per esempio, beau diventa laubé, laubiche, baveau). Queste modificazioni avvengono attraverso lo scambio di vocaboli che hanno grafie e suoni simili (per esempio, fourber, rubare, è confuso con fourbir, pulire, da cui polir, laver, nettoyer col significato di rubare). L'alterazione della forma si manifesta con l'uso di un suffisso parassitario (per esempio, passer, passare, diventa pastiquer, passacailler, pasquiner; Paris diventa Parouart; français diventa francillon); con la troncatura (affaire, affare, diventa aff.; commerce, commercio, diventa come); con lo spostamento della consonante iniziale alla fine della parola, sostituendola con l (per esempio, jargon, gergo, diventa l-argon-ji; inoltre, con l'aggiunta ulteriore di un suffisso, boucher, tappare, diventa l-oucherb-em). Questi procedimenti, applicati insieme, cambiano completamente l'aspetto della parola (per esempio, saucisson, salame, per suffissazione ha dato saucifflard e poi, per troncatura, siflard). Gran parte di queste parole sono usate tuttora; infatti una parte dell'argot moderno risale a forme antiche o a dialetti. Tutte le parole troncate presenti nell'opera di Vidocq sono entrate nell'argot moderno; inoltre la troncatura delle parole è molto usata per i termini nuovi coniati dall'argot parigino. Le voci dell'argot sono ca. 5000, ma sono applicate a un numero limitato di nozioni (per esempio, si hanno 60 parole per esprimere vol, furto, voler, rubare, voleurs, ladri; la stessa cosa si verifica per tutti i termini usati dalla malavita). § Si hanno documenti sull'argot dalla fine del sec. XII (Jeu de Saint-Nicolas, di Jean Bodel d'Arras). Nel sec. XIII un trattato di grammatica provenzale, Le Donats provensals, ricorda un gergon, lingua dei malviventi. Una fonte importante sono gli archivi della polizia, che testimoniano la continuità storica di alcune parole (per esempio, mouche, per espion, spia, del 1389; rossignol, per fausseclé, grimaldello, del 1406, ancora usate). Il più antico lessico pervenutoci è contenuto negli atti del processo dei Coquillards (1455), organizzazione di ladri e mendicanti. Il gergo dei Coquillards (chiamato jargon) si ritrova in alcune ballate di François Villon e in molti testi del teatro religioso medievale. Delle 200 parole di questo jargon, una ventina sono passate nell'argot moderno (per esempio, andosses per dos, schiena; aubert per argent, denaro). La vie généreuse des Mercelots, Gueuz et Boesmiens (1596), di un autore che si copre con lo pseudonimo di Pechon de Ruby, enfant esveillé (cioè Figlio di Facchino, sveglio ladro apprendista), e Le jargon de l'argot réformé (1628), di Ollivier Chereau, lanaiolo di Tours, informano sull'esistenza di un linguaggio comune ai mercanti ambulanti e ai mendicanti. In particolare, L'argot réformé, di cui furono fatte varie edizioni, costituisce il glossario fondamentale fino al sec. XIX. A partire dall'Ottocento si vanno accumulando i materiali documentari sull'argot: il più importante è l'opera di Vidocq (1775-1857), ladro, spia e avventuriero entrato poi nella polizia, autore di un dizionario di 1500 vocaboli basato sul linguaggio parlato nelle prigioni all'inizio del secolo, che è la fonte principale a cui attinsero Balzac per il romanzo Vautrin (1847) ed E. Sueer il romanzo Les mystères de Paris (1842-43). La maggior parte dei vocaboli registrati da Vidocq è entrata nel linguaggio comune (per esempio, affranchir, corrompere, aile, braccio, se donner à l'air, mettersi in fuga).

Letteratura

Il linguaggio segreto delle organizzazioni della malavita era poco adatto per un'elaborazione letteraria autonoma. In argot puro, oltre alle 11 ballate di Villon, esistono numerosi “giochi letterari”, consistenti soprattutto in consigli ai malviventi, in forma di parodie. L'argot è stato invece molto usato in letteratura, soprattutto nel teatro, per mettere in scena personaggi del popolo e della malavita (per esempio, Le mystère du Vieil Testament, del 1458, La vie de Saint Christophle, del 1527). Riflessi dell'argot si trovano nell'opera del poeta Paul Scarron, nella commedia Cartouche ou les voleurs (1721) di Legrand, nel poema Le vice puni, ou Cartouche (1726) di Nicolas Ragot. Man mano che si fonde con la lingua popolare, l'argot diventa un mezzo d'espressione più ricco, la forma linguistica per esprimere la miseria, la disperazione e il senso di rivolta della cosiddetta Corte dei Miracoli, il ghetto degli emarginati dalla società. Con questo significato è stato usato da Balzac, da Victor Hugo (Notre-Dame de Paris, Les misérables), da E. Sue. Alcuni autori del sec. XX, come Céline e Jean Genêt, hanno usato l'argot all'interno del loro linguaggio personale. L'argot parigino è largamente usato nella narrativa contemporanea (per esempio, nel romanzo Zazie dans le métro di R. Queneau) e ricorre nella produzione di alcuni fra i migliori parolieri e cantautori del cabaret e del music-hall francese.

Cinema

Anche nel cinema il gergo francese, in particolare parigino, è servito a caratterizzare in modo più realistico i personaggi del popolo, più o meno legati alla malavita, fin dal primo decennio del sonoro. Un film di ambiente ladresco del 1939, Fric-Frac (di M. Lehman), era interamente costellato di espressioni gergali usate in funzione umoristica. Negli anni successivi la moda si è dilatata e a partire dal 1954, con Grisbi, di J. Becker, e Rififi, di J. Dassin (già i titoli sono singolari, a indicare “malloppo” e “colpo”), si è formata una corrente del cinema francese (Becker, Melville, Enrico, José Giovanni) che ha adottato il linguaggio di romanzieri della série noire quali A. Le Breton, Albert Simonin e il citato Giovanni, assunti anche come dialoghisti o registi, sempre più spesso in film tratti dalla vita reale e quasi sempre se gli ambienti evocati sono quelli della “mala”.

A. Nicèforo, Le génie de l'argot, Parigi, 1912; A. Dauzat, Les argots, caractères, évolution, influences, Parigi, 1929; E. Chautard, La vie étrange de l'argot, Parigi, 1931; A. Ziwès, A. de Bercy, Le jargon de Maître François Villon, Parigi, 1954; P. Guiraud, L'argot, Parigi, 1956; G. Esnault, Dictionnaire historique des argots français, Parigi, 1965.

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