assuefazióne

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sf. [sec. XIV; da assuefare].

1) L'assuefare, il prendere un'abitudine: assuefazione al fumo, al clima.

2) In farmacologia, fenomeno caratterizzato da una diminuita efficacia dei farmaci sull'organismo; è dovuto a un aumento della soglia di sensibilità cellulare ai farmaci stessi oppure a un aumento della loro metabolizzazione tissutale. Nel soggetto assuefatto a un determinato medicamento quest'ultimo risulta inefficace oppure manifesta l'effetto originario solo a dosi più elevate di quelle terapeutiche. Il fenomeno dell'assuefazione si riscontra frequentemente in soggetti che fanno uso abituale di ipnotici barbiturici, di analgesici pirazolonici, di purganti antrachinonici, ecc.

3) In etologia, è un processo di apprendimento attraverso il quale viene perduta la risposta a uno stimolo ripetuto se a esso non è associato nessun evento sgradito. Generalmente l'assuefazione si manifesta nei confronti di stimoli nuovi e improvvisi che inizialmente determinano una situazione di allarme e una reazione difensiva nell'animale. Per esempio, se si batte sul vetro di un acquario in cui si trovi un pesce, questo potrà guizzare via impaurito. Se si batte di nuovo, il pesce avrà probabilmente la stessa reazione e così per un numero di volte consecutive, ma progressivamente la reazione di paura andrà scemando, fino a che il pesce resterà indifferente ai colpi. L'assuefazione è importante in natura in quanto permette agli animali di non reagire a quei fenomeni, come per esempio i lampi, i tuoni, ecc. che pur provocando sensazioni intense e sgradevoli non sono connessi a situazioni intrinsecamente pericolose.

4) In psicologia, abitudine a stimoli persistenti o presentati ripetutamente che finiscono per non essere più percepiti e non producono più una risposta.

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