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Sf. [astro-+biologia]. Branca dell'astronomia che esamina le implicazioni biologiche connesse alla diffusione negli spazi interstellari, sulle superfici solide dei pianeti e in seno alle loro atmosfere, del materiale pertinente alla chimica organica (molecole di idrocarburi, di alcoli, acidi e ammine) che è stato individuato in larga misura nelle più recenti radioprospezioni celesti. Sinonimo di esobiologia.

La materia interstellare

Composti molecolari attinenti alla chimica organica sono particolarmente abbondanti nella componente diffusa della materia interstellare. Il 30% circa di essi consiste in raggruppamenti di atomi leggeri quali l'idrogeno, l'ossigeno, l'azoto, il carbonio. Dalle associazioni più semplici (idruro di carbonio CH, acido cianidrico HCN, metano CH4, ecc.), l'indagine – specialmente effettuata a mezzo dei grandi radiotelescopi – è giunta a rivelare almeno un centinaio di molecole complesse diverse, alcune con 13 atomi costituenti. Le più importanti, nel campo della chimica prebiotica, sono l'acido cianidrico e la formaldeide; ma ultimamente sono stati rinvenuti anche composti affini alla clorofillanebulosa d'Orione), al fullerene (molecola contenente ben 60 atomi di carbonio), alla glicina (nube protostellare in Sagittarius B2), nonché una varietà di sostanze classificabili fra gli amminoacidi e i nucleotidi, componenti di base delle proteine viventi. In teoria, codeste sostanze, incorporate in bolidi, meteoriti, nuclei cometari, potrebbero comportarsi da disseminatrici di “focolai” biologici nell'impatto con quei corpi celesti – pianeti, grossi satelliti – che si trovino dotati di adeguate condizioni ambientali. Tuttavia, ciò che lascia perplessi gli studiosi è il mistero del loro mantenersi integre sotto il bombardamento distruttivo e sterilizzante da parte della radiazione ionizzante delle stelle e dei raggi cosmici. Per quanto concerne la Terra, si valuta infatti che nel passato la ricaduta di materiale organico alla superficie sia ammontata a 20 g/cm²; essa dura tuttora poiché le sonde Vega e Giotto hanno dimostrato in modo diretto che le comete (Halley, Giacobini-Zinner) diffondono grandi quantità di materia organica (cianogeno C₂N₂, acqua, monossido di carbonio CO).

Lo studio dei meteoriti

Lo studio di alcune grosse meteoriti ritrovate al suolo (Murchison, Orgueille, ecc.) conferma la presenza di almeno 8 dei 20 amminoacidi che costituiscono le proteine viventi; nonché quella – inglobata in condrule minerali – di alcune basi puriniche e pirimidiniche degli acidi nucleici RNA e DNA. Tutte codeste formazioni organiche evolute mostrano di aver ben tollerato, all'interno della massa meteoritica, lo shock termico connesso all'ingresso nell'atmosfera terrestre. A partire da queste molecole “d'importazione spaziale”, i chimici hanno tentato di ricostituire le tre famiglie di molecole che presiedono alla biologia cellulare: gli acidi nucleici che conservano e replicano il codice genetico, le proteine che consentono l'attività biologica della cellula, i fosfolipidi che ne sostengono la chimica delle membrane. Per esempio, il Centro di Biofisica Molecolare di Orléans, usando soltanto due tipi di amminoacidi d'origine extraterrestre è stato in grado d'ottenere una molecola proteica che, pur contenendo solo 10 amminoacidi, dimostra un certo grado di replicabilità. Alcune ipotesi vorrebbero che il materiale organico disperso da polveri e meteoriti possa aver attecchito in ambiente acqueo, a temperatura idonea – in ogni caso, non superiore ai 150 °C – ove potrebbe aver dato luogo a complessi proteici basati inizialmente sulle proprietà di replica del solo RNA (acido ribonucleico). Questi organismi primitivi potrebbero essere stati dotati di carica elettrica (molecole organiche autocatalitiche di Gunther Wachterrshauser) e resi capaci d'accrescersi su cristalli di solfuro di ferro FeS.

Il meteorite ALH 84001

Questo relitto solido di 1,9 kg è stato rintracciato fra i ghiacci della regione antartica di Allan Hills nel 1984. Soltanto alla metà degli anni Novanta le ricerche chimico-mineralogiche effettuate al Johnson Space Center della NASA hanno permesso di individuarvi tracce di particelle gassose palesemente consistenti con la composizione atmosferica di Marte, nonché rapporti isotopici di struttura che ben s'accordano con i risultati delle analisi effettuate dalle Viking sul suolo del pianeta. Il meteorite è uno dei 12 campioni SNC (appartenente alla categoria di origine marziana delle Shergottiti, Nakhliti, Chassigniti) nella quale la proporzione di H₂O, contenuta come acqua di cristallizzazione, s'aggira sull'1,4%. ALH 84001 sembra risalire a un'età molto anteriore (3,8-4 miliardi d'anni) rispetto agli altri campioni SNC, così da costituire un attendibile esempio della crosta originaria di Marte. La sua struttura interna attesta che la cristallizzazione dei minerali ha proceduto con molta lentezza in ambiente magmatico e che vi si è verificata inclusione di globuli di carbonati (condrule di 0,25 mm di ferro, di calcio, di magnesio) e di altre tracce dovute a prolungata esposizione a flussi di H₂O liquida. In seguito – nel successivo mezzo miliardo d'anni – il campione minerale, per effetto di un impatto violento con un planetoide delle prime età, insieme ad altri frammenti è stato sbalzato fuori del campo gravitazionale, finendo poi con l'essere catturato dalla Terra soltanto 13.000 anni or sono. L'esame effettuato al microscopio elettronico a scansione su campioni di ALH 84001 ha accertato che la composizione dei “globuli” (o condrule) varia attraverso la loro sezione, divenendo ricca di magnesio, zolfo e ferro in corrispondenza dei bordi, ove compare una moltitudine di microstrutture “vermiformi” non più lunghe di qualche decimillesimo di millimetro. In tali strutture il Fe si presenta sotto forma di magnetite e lo zolfo sotto forma di solfuro di ferro. Poiché sembra assai dubbia la coesistenza spontanea con i carbonati da parte di questi composti – in analogia a quanto è stato provato con il rinvenimento delle stromatoliti e dei cianobatteri nei prodotti dell'attività biologica terrestre di 3,5 miliardi d'anni or sono – la loro presenza ha indotto a individuarvi una possibile manifestazione di sintesi organica attribuibile al metabolismo di una qualche forma batterica anaerobica sviluppatasi nell'antico ambiente marziano. D'altra parte, la generale presenza, nei meteoriti SNC, di comprovate tracce di molecole organiche complesse, del tipo degli idrocarburi policiclici aromatici (PAH) sembra attestare – nell'ambiente di formazione – una tipica abbondanza di azoto e di ammoniaca (oltre che di acqua e di anidride carbonica), sostanze essenziali per lo sviluppo di forme biologiche, anche se di estrema semplicità. Questo tipo di condizioni ambientali risulta consistente con la presumibile era Noachiana che molti planetologi assegnano alle prime età di Marte per caratterizzare un clima tiepido, umido e un'epoca di attivo modellamento del suolo da parte di agenti meteorici mossi dalla presenza di un'atmosfera sufficientemente densa. I risultati delle missioni Mars Global Surveyor e Mars Pathfinder (1997) hanno consentito ai planetologi di confermare alcuni dati sui trascorsi geologici e biologici del pianeta.

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