bèllo

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Lessico

agg. (sing. m. bèl, pl. bèi davanti a cons.+vocale oppure davanti a b, p, c, g, d, t, f, v+r o l; sing. bèllo, pl. bègli davanti a vocale, s impura, gn, ps, x, z; il pl. bèlli si usa oggi solo posposto al nome o come predicato nominale; f. regolare) [sec. XIII; latino bellus, carino].

1) Che ha caratteri tali da suscitare compiacimento in chi osserva o ascolta (riferito a persone, animali e cose); piacente, grazioso, leggiadro: un bel giovane, una bella donna; una bella tigre; una bella casa, un bel boschetto; un bel corpo, delle belle gambe; una bella visuale;bello mio, come vocativo affettuoso o iron.; bella copia, la stesura corretta e definitiva di un testo; far bello, abbellire, ornare; fare il bello, civettare; farsi bello, acquistare bellezza oppure, scherzosamente, agghindarsi; fig.: farsi bello di qualche cosa, vantarsi spesso senza merito: “un rimatore che si faceva bello delle cose altrui” (Carducci). Con riferimento più specifico ai pregi estetici: un bel quadro, un bel concerto; un esempio di bello stile poetico; per estensione: belle arti, le arti figurative; belle lettere, la letteratura e gli studi letterari.

2) Si usa spesso nel generico valore estens. di buono: un bel progetto, un bel risultato; s'è fatto una bella posizione; giovane di belle speranze, di cui si prevede un futuro ricco di successi; un bell'affare,conveniente, vantaggioso; un bel lavoro, ben eseguito. Nell'ambito di questo significato è possibile distinguere accezioni più specifiche: A) con riferimento alle facoltà intellettive, valente, efficace: un bello scrittore, una bella battuta; bell'ingegno, intelligenza sveglia, acuta; bello spirito, arguto, pronto allo scherzo. Più in genere, per esprimere riconoscimento delle capacità umane, degno d'ammirazione, abile, brillante: è stata una bella impresa. B) Nobile, elevato; gentile, garbato: belle aspirazioni, una bell'anima, bei sentimenti; belle maniere, “i bei costumi e gli atti onesti e saggi” (Sannazaro); per estensione: il bel mondo, l'alta società. C) Degno d'approvazione morale, onesto, encomiabile: un bel gesto, una bella iniziativa; anche dignitoso, onorevole: ha saputo tenere un bel comportamento. Per estensione, opportuno, adeguato: una bella scelta. D) Felice, beato, spensierato: ai bei tempi, quando si viveva felici, con sfumatura di rimpianto; è un bel periodo, fortunato; i begli anni, la giovinezza; fig.: far la bella vita, darsi bel tempo, spassarsela oppure far vita scioperata. Anche piacevole, divertente, interessante: un bel viaggio, una bella festa, un bel film, un bel romanzo. E) Riferito alle condizioni atmosferiche, sereno, limpido, splendente: bella giornata, bel tempo, bel tramonto; la bella stagione, la primavera o l'estate.

3) Rilevante per quantità; quindi grande, notevole, consistente, abbondante, intenso e simile: una bella distanza; un bel guadagno; una bella età, piuttosto avanzata; una bella fortuna, un bel coraggio; una bella cena; una bella fatica. Spesso con valore rafforzativo o pleonastico davanti a nomi o agg.: un bel farabutto, un bel cretino; c'è un bel fumo qui dentro; “Fa già un bel caldo per essere aprile” (Buzzati); un bel niente, un bel fico secco; bello morbido, bello tenero; avere un bel da fare, adoperarsi invano; un bel giorno cambierai idea; a volte con il senso di proprio, precisamente: nel bel mezzo della strada; a bella posta, intenzionalmente; a bella prima, dal principio, immediatamente. Seguito da e, che provoca l'elisione della vocale finale, equivale a già, ormai, del tutto, in loc. come: bell'e morto, bell'e fatto, bell'e finito; è una bugia bell'e buona, senza possibilità di dubbio.

4) Con valore iron. o antifrastico: bella figura, bella roba!, brutta, spiacevole; abbiamo avuto un bel danno, una bella batosta, grave, pesante.

5) In espressioni indeterminate, con il compl. sottinteso: farne, combinarne delle belle (cioè cose, azioni e simili), commettere spropositi; vederne, sentirne delle belle, fatti sorprendenti che suscitano sensazione; questa è bella!, di un atto o di una notizia inattesi che provochino soddisfazione o rammarico; oh, bella!, escl. di sorpresa.

6) Forme particolari: dim. bellino, non proprio bello, ma aggraziato, carino, grazioso; accr. bellòccio, detto di bellezza florida e fresca ma un po' rozza; bellóne, dotato di bellezza vistosa e alquanto volgare; anche sm. (f. -a): “Me la vedevo, la bella, lì davanti” (E. Cecchi).

7) Con valore di sm., ciò che possiede i requisiti della bellezza: il sentimento del bello; “l'essenza del bello poetico” (Manzoni). Con sensi specifici: A) uomo dotato di bellezza; per antonomasia, fidanzato, innamorato. B) Tempo sereno, clima mite, specialmente in frasi impers.: fa bello; si mette al bello, arriva il bel tempo. C) Con valore neutro che può implicare tutti i sensi dell'agg. (spesso familiare): non è bello origliare alle porte; dove vai di bello?; ci vuole del bello e del buono, si richiede grande impegno, è assai difficile; ora viene il bello, l'aspetto più interessante oppure, più frequentemente iron., la difficoltà maggiore; sul più bello, nel momento cruciale; il bello è che, il fatto curioso o più strano.

8) Con valore di avv.: bel bello, piano piano, placidamente; alla bell'e meglio, per quanto è possibile, senza pretese.

Filosofia

Nell'antichità operarono due nozioni fondamentali di bello. La prima, esposta nella sua forma compiuta nel Fedro di Platone, intende il bello come manifestazione del bene e quindi scorge nell'attrazione esercitata dalla bellezza (prima fisica e poi intellettuale e morale) il punto di partenza per l'ascesa verso la contemplazione delle sostanze ideali. La seconda, presentata da Aristotele, concepisce il bello come regolarità, ordine, proporzione convenienti alle parti che compongono il tutto e fu la nozione comunemente accolta dalla filosofia medievale e da San Tommaso in particolare. Nell'età moderna la nascita dell'estetica coincide con la concezione del bello quale oggetto della conoscenza sensibile, giunta alla sua perfezione; ovvero quale oggetto dell'attività sensibile in quanto è accompagnata dal piacere. Kant, nella Critica del giudizio, elaborò e unificò queste due nozioni presentate dalla tradizione filosofica rispettivamente tedesca e inglese; e, insistendo sull'indipendenza del bello da ogni interesse, poté definirne il principio autonomo, riconoscendo così una sfera specifica del bello accanto a quelle della conoscenza e della moralità. L'estetica contemporanea ha, infine, posto in luce la nozione di bello quale compiutezza o perfezione dell'espressione. Questa concezione d'origine romantica, congiunta alla tradizione settecentesca del bello come oggetto della conoscenza sensibile e all'esigenza d'origine kantiana di garantire l'autonomia della sfera estetica, costituisce il nucleo dell'estetica di Benedetto Croce per il quale la bellezza è il carattere dell'intuizione che s'identifica con l'espressione del sentimento nell'immagine. Successivamente l'estetica ha riconosciuto nel bello il carattere dell'operazione riuscita, in cui, cioè, l'inventività dell'autore abbia saputo elaborare la soluzione originale che soddisfa le esigenze particolari da cui era mosso. In questo senso la bellezza accompagna ogni attività dell'uomo che realizzi i propri fini e diventa caratteristica specifica dell'arte in quanto questa non ha altro fine che la propria riuscita. Ma è diventato arduo problematizzare il bello nell'ambito della società contemporanea e dei suoi linguaggi. Tanto più che l'estetica, che ne avrebbe dovuto salvaguardare i confini e aggiornare il concetto, viene considerata, negli ultimi decenni del sec. XX, come un orizzonte di pensiero al suo tramonto. Nell'ambito di questo secolo, nella cultura nichilista che lo caratterizza, l'esperienza del bello ha inevitabilmente un carattere instabile e indefinito. Nell'“epoca della riproducibilità tecnica”, come suona il titolo di una fondamentale opera di Walter Benjamin, anche l'opera d'arte esce dall'orizzonte del bello per assumere il segno di semplice fatto comunicativo.

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