còttimo

sm. [sec. XIV; dal latino quotumus, di qual numero?]. Sistema di lavoro nel quale può determinarsi l'apporto quantitativo del lavoratore alla produzione, a differenza del lavoro a tempo, in cui si valuta esclusivamente il periodo durante il quale il lavoratore è rimasto a disposizione dell'imprenditore e ciò indipendentemente dai risultati raggiunti. Con il cottimo il lavoratore ha un incentivo per accrescere il suo rendimento e nel contempo il datore di lavoro ha, in tale incentivo, un interesse a incrementare la produzione. Il sistema del cottimo è soggetto a notevoli limitazioni nell'interesse dei lavoratori; regolato dal codice civile, esso è obbligatorio quando l'organizzazione del lavoro comporti l'osservanza di un determinato ritmo produttivo o “quando la valutazione della prestazione lavorativa è effettuata in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione” (articolo 2100 del Codice Civile). Per la possibilità di stimolare nel lavoratore pericolose tendenze all'abuso delle proprie energie psicofisiche, il cottimo è sempre stato guardato con sfavore dalle organizzazioni sindacali. La tendenza affermatasi con i contratti collettivi stipulati a partire dal 1969, è quella del superamento del cottimo, soppiantato quasi del tutto da forme di retribuzione a tempo e da forme di cottimo “misto”, con retribuzione in parte fissa e in parte commisurata alla produttività del lavoratore. Tale sistema viene realizzato anche attraverso i cosiddetti “premi di produzione”, che si vanno ad aggiungere alla normale retribuzione a tempo. Il cottimo può essere anche “individuale” o “collettivo” a seconda che il livello produttivo prestabilito sia raggiunto da un singolo lavoratore o da un gruppo di lavoratori.

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