Descrizione generale

sm. [sec. XIX; dall'inglese colloid]. Sostanza che, a contatto con una fase liquida acquosa od organica, vi si disperde omogeneamente sotto forma di minuscole goccioline o di particelle solide costituendo un sistema fisico a due fasi (stato colloidale). Hanno carattere di colloide il plasma sanguigno e altri liquidi circolanti nei tessuti animali e vegetali, il siero di latte, la cloroplastina, l'amido, la cellulosa e i suoi derivati, la gomma, la seta naturale e artificiale, ecc. La chimica dei colloidi ha origine con gli studi di F. Selmi, il quale nel 1849 distinse le soluzioni in soluzioni vere e pseudosoluzioni, indicando con le prime sistemi monofasici in cui le molecole del soluto si disperdono uniformemente nel solvente. Nelle pseudo-soluzioni, invece, le particelle disperse, chiamate dal Selmi “micelle”, hanno dimensioni relativamente grandi e si formano per aggregazione di un numero variabile di molecole. Circa un decennio più tardi il fisico T. Graham, distinguendo i soluti in base alla velocità di dispersione nel solvente, chiamò “cristalloidi” i composti che diffondono rapidamente e che si possono separare dalla soluzione sotto forma di cristalli; dette invece il nome di “colloidi” alle sostanze che si diffondono più lentamente nel solvente e che da esso si separano allo stato amorfo, analogamente alla colla, e che inoltre non presentano il fenomeno della dialisi. Studi successivi hanno chiarito che la capacità di cristallizzazione non è un criterio distintivo valido dei soluti, in quanto molte sostanze possono comportarsi sia da cristalloidi sia da colloidi in rapporto alla natura del mezzo disperdente e ad altri fattori. D'altra parte, l'attitudine a formare soluzioni o pseudo-soluzioni è legata non alla natura chimica del composto ma alla grandezza delle particelle disperse cioè al numero di atomi e di molecole che le compongono. Si distinguono pertanto: soluzioni vere, in cui le particelle disperse sono composte al massimo da 103 atomi e non sono evidenziabili al microscopio elettronico (amicroni); soluzioni o dispersioni colloidali (i colloidi in senso stretto), che hanno particelle formate da 103-109 atomi, risolvibili al microscopio elettronico; dispersioni grossolane di solidi in fase liquida (sospensioni) o di liquidi in liquidi (emulsioni), in cui le particelle disperse sono di dimensioni tali da risultare visibili al microscopio ordinario. Generalmente si definiscono “sistemi monodispersi” quelli formati da particelle tutte uguali tra loro e “sistemi polidispersi” quelli costituiti da una fase dispersa eterogenea, cioè da particelle di dimensioni o di natura chimica differenti.

Chimica: le soluzioni colloidali

Nell'ambito delle soluzioni colloidali si riconoscono tre diverse categorie di colloidi: molecolari, micellari e metallici. Nei colloidi molecolari (o eucolloidi) la fase dispersa è costituita da polimeri di elevato peso molecolare, i quali derivano dalla condensazione di molecole tutte uguali tra loro (omopolimeri, come l'amido, la cellulosa, il glicogeno, l'acido silicico), oppure sono formati da molecole differenti (eteropolimeri, come le proteine animali e vegetali). Tra i colloidi molecolari sono pure compresi numerosi polimeri sintetici (polistiroli, poliacroleine, polibutadiene, ecc.). I saponi, molti coloranti organici, sostanze inorganiche, quali il pentossido di vanadio o l'idrossido di ferro, sono esempi di colloidi micellari. Questi hanno la proprietà di formare sistemi polidispersi in cui la grandezza delle micelle varia con la temperatura e la concentrazione del mezzo. Nei colloidi metallici invece la fase dispersa è formata da cristalli, i quali, pur avendo dimensioni ultramicroniche, formano soluzioni colloidali per la speciale struttura del loro reticolo atomico. Quelli che hanno elevata affinità per il mezzo disperdente sono definiti “liofili”, si dicono “liofobi” nel caso opposto. Sono liofili i colloidi molecolari, liofobi gran parte dei colloidi micellari e dei colloidi metallici. In una soluzione colloidale le particelle liofile si rivestono di uno strato di molecole della fase disperdente le quali sono orientate tutte nello stesso senso e presentano movimenti oscillatori e vibratori sincroni. La formazione di tali complessi è detta solvatazione, o idratazione nel caso che la fase disperdente sia l'acqua. Le sostanze atte a formare colloidi, poste a contatto con il mezzo disperdente, lo assorbono per gradi e si rigonfiano progressivamente, formando la soluzione colloidale solo quando la diluizione della fase dispersa ha superato un valore limite. Nel sistema bifasico colloidale vi sono pertanto numerose condizioni intermedie tra lo stato solido e quello liquido. Analogamente, se si evapora una soluzione colloidale si passa attraverso vari stati intermedi prima di ottenere la sostanza allo stato solido. Tale fenomeno manca nelle soluzioni vere, in cui si passa dalla cristallizzazione alla soluzione senza alcuna fase intermedia. I colloidi si dicono “reversibili” quando formano soluzioni colloidali ogni qual volta vengano posti a contatto con il solvente; si dicono invece “irreversibili” se perdono la capacità di formare la soluzione colloidale una volta separati allo stato solido per evaporazione del solvente. Le particelle di una soluzione colloidale rifrangono la luce in tutte le direzioni, per cui la soluzione, attraversata da un raggio di luce, mostra una luminosità diffusa (effetto Tyndall) quando venga esaminata perpendicolarmente alla direzione del raggio mediante l'ultramicroscopio. L'immagine ultramicroscopica di un sistema colloidale è comparabile a uno sciame di corpuscoli luminosi in un campo oscuro. L'agitazione termica delle molecole disperse fa apparire tali corpuscoli in costante movimento vibratorio (moti browniani). Si ritiene che i movimenti browniani e l'energia trasmessa ai corpuscoli dispersi dalle molecole del solvente impediscano la sedimentazione delle particelle colloidali, controbilanciando l'effetto esercitato su di esse dalla forza di gravità. I sistemi colloidali sono relativamente poco stabili per cui è facile separare la fase disperdente da quella dispersa. La coagulazione e la flocculazione dei colloidi si hanno talora spontaneamente, per l'invecchiamento della soluzione colloidale, oppure sono prodotte dall'azione di elettroliti e delle basse o alte temperature, da forti pressioni, dall'agitazione meccanica, ecc. Esistono tuttavia alcune sostanze, dette colloidi protettori, come la gelatina, le gomme, l'amido, gli idrolisati proteici, i saponi, le destrine, ecc., che hanno la proprietà di aumentare la stabilità delle soluzioni colloidali: il potere stabilizzante di un qualsiasi colloide protettore viene espresso mediante il cosiddetto “indice di oro”, che definisce la quantità di sostanza protettiva necessaria per impedire la coagulazione di una soluzione di oro colloidale trattata con cloruro sodico. Per effetto di vari agenti chimici, fisici o biologici (per esempio enzimi) le soluzioni colloidali possono “gelificare”, cioè trasformarsi in masse solide, apparentemente omogenee ed elastiche (gel). Ciò è quanto avviene, per esempio, per raffreddamento di una soluzione di gelatina o di agar oppure per riscaldamento dell'albume d'uovo. Per molti colloidi la gelificazione è reversibile, per cui con mezzi opportuni si può ottenere ancora la soluzione colloidale in seguito a fluidificazione del gel; in altri casi il fenomeno è irreversibile. Gli idrogel trattengono forti quantità di acqua, che a volte non può essere sottratta anche esercitando elevate pressioni. Alcuni gel macromolecolari fluidificano in seguito ad agitazione e per effetto delle vibrazioni (vedi tissotropia).

Biologia

Le sostanze proteiche formano spesso soluzioni vere nei veicoli acquosi; tuttavia le proteine del protoplasma, per le loro dimensioni molecolari, per la struttura specifica e per le speciali caratteristiche del mezzo disperdente, si comportano come colloidi (colloidi protoplasmatici o colloidi proteici). Poiché la maggior parte del peso secco cellulare è costituito da protidi, si comprende come la loro natura colloidale influisca profondamente sulle proprietà fisiche delle cellule. Nella classica teoria enunciata da Frey-Wyssling nel 1936 la materia vivente è assimilata a una dispersione in acqua di colloidi macromolecolari, con possibilità di passaggio reversibile dallo stato di “sol” allo stato di “gel”. Detti colloidi sono catene proteiche che possono organizzarsi in un fine reticolo tridimensionale, unendosi nei punti di incrocio con legami più o meno stabili. Alle molecole proteiche sono ancorate sostanze di natura diversa (enzimi, cofattori, lipidi, metaboliti, ecc.), la cui funzione è essenzialmente legata ai processi del metabolismo cellulare, ma che in determinate circostanze possono esercitare sensibili influenze sulla stessa organizzazione reticolare dei colloidi protoplasmatici. Nel sistema colloidale polidisperso che costituisce la struttura portante del protoplasma vi sono sali inorganici, amminoacidi, zuccheri semplici o complessi, piccole molecole, ecc., sostanze fisicamente disciolte nella fase acquosa e quindi determinanti una seconda condizione fisica della materia vivente. I colloidi protoplasmatici sono altamente liofili e hanno forte tendenza ad associarsi alle molecole di acqua della fase disperdente mediante legami di idrogeno e forze di Van der Waals (solvatazione). Tale fenomeno ha notevole importanza in quanto garantisce la stabilità del sistema colloidale protoplasmatico e ne permette la trasformazione reversibile dallo stato di sol a quello di gel. Allo stato di gel le proteine strutturali del protoplasma sono saldate l'un l'altra e formano un esile reticolo tridimensionale nel mezzo disperdente, cosicché ambedue le fasi possono considerarsi continue. Il gel protoplasmatico è semisolido, altamente viscoso ed elastico; in seguito a fluidificazione passa allo stato di sol, condizione nella quale, secondo la teoria di Frey-Wyssling, le macromolecole del reticolo si separano e si disperdono individualmente, in maniera omogenea, nel mezzo acquoso. La trasformazione dei colloidi cellulari da una condizione fisica all'altra non avviene casualmente, ma è legata a precise situazioni chimiche, fisiche e metaboliche; particolare importanza hanno a tale proposito la temperatura, la pressione, l'osmolarità, il pH, la concentrazione degli elettroliti, il livello energetico del sistema e, in ultima analisi, il grado di attività della cellula. In generale nei sistemi biologici a basso livello energetico le macromolecole proteiche hanno tendenza ad aggregarsi e a formare quindi dei gel; al contrario, nei sistemi attivi o per effetto di adeguati stimoli meccanici, termici, elettrici od osmotici i legami intermolecolari tendono a scindersi e il sistema passa allo stato semifluido di sol. In normali condizioni metaboliche le differenti parti del protoplasma cellulare non sono tutte ugualmente attive e presentano nette differenze di fluidità; per esempio la sostanza citoplasmatica più prossima alla membrana limite della cellula (ectoplasma) ha una maggiore tendenza alla gelificazione dell'endoplasma, cioè del materiale situato più internamente. Le ricerche sulla struttura del protoplasma hanno evidenziato i limiti della teoria sullo stato colloidale della materia vivente, pur restando essa accettabile nelle sue linee generali. In realtà già nel passato si conoscevano alcune delle differenze esistenti tra i colloidi artificiali e quelli protoplasmatici; era noto, per esempio, che la materia vivente all'esame ultramicroscopico non presenta particelle con movimenti di tipo browniano; essa è inoltre trasparente ai raggi luminosi, acquistando la tipica birifrangenza dei veri colloidi naturali o artificiali solo quando viene distesa in fili sottili. Tali fenomeni sono dovuti al fatto che i colloidi cellulari sono proteine con gruppi funzionali dissociabili in un mezzo acquoso in cationi o anioni. Questi gruppi polari hanno la proprietà di orientare intorno a sé le molecole d'acqua della fase disperdente formando “aloni di idratazione” che riducono al minimo le differenze di rifrangenza tra la fase disperdente e quella dispersa e nel contempo inibiscono i movimenti oscillatori delle particelle di quest'ultima. Alla luce delle moderne conoscenze, l'ipotesi che un reticolo macromolecolare possa reversibilmente trasformarsi in un sistema di particelle indipendenti si concilia poco con alcuni aspetti essenziali della fisiologia cellulare, come la regolarità di svolgimento dei processi metabolici e la distribuzione compartimentale del lavoro nelle cellule. D'altra parte la materia vivente non può essere configurata come uno specifico sistema fisico ma piuttosto come un'organizzazione complessa di cui lo stato colloidale di alcuni componenti rappresenta soltanto un aspetto particolare. Mediante diffrazione dei raggi X sono stati evidenziati nel protoplasma elementi la cui condizione fisica si avvicina allo stato solido o paracristallino.

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