corporazióne

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Lessico

sf. [dal francese corporation, risalente al latino tardo corporātus, che forma un corpo, membro di un collegio]. Unione di persone accomunate da uguali interessi per il conseguimento di uno scopo comune, costituenti un corpo distinto nella società e giuridicamente riconosciuto: corporazioni di arti e mestieri; corporazione religiosa, ordine, congregazione religiosa. Per estensione, insieme di persone unite da una stessa attività, anche scherzoso: la corporazione dei professori.

Diritto

Nell'epoca più antica i Romani ritennero che i beni di corporazioni artigiane e religiose fossero in comproprietà tra i loro componenti e che la stessa res publica romana s'identificasse con la totalità dei cittadini, cioè con il populus romanus. Questo possiede un proprio tesoro, amministrato da magistrati; servi publici agiscono in suo nome per acquistare beni, anche in caso di successione per causa di morte (eredità, legati, fedecommessi, mancanza di eredi), e per stipulare contratti. Affinandosi la speculazione giuridica, il populus romanus viene considerato un'entità di diritto, diversa da quella dei singoli associati, appartenente allo ius publicum. Diritti simili a quelli del popolo romano vennero riconosciuti alle colonie, ai municipi, alle civitates esistenti nell'impero. I collegia per scopi funerari, religiosi, commerciali furono autorizzati da Roma, con la legge Giulia de collegiis, a operare distintamente dai loro membri, avendo la proprietà dei beni comuni e un tesoro collettivo dell'associazione. Un actor gestiva i beni comuni e rappresentava ogni collegium, che poteva avere gli scopi più diversi. Non è noto il modo di conferimento al corpus della capacità giuridica: pare che avvenisse con l'autorizzazione, data dal Senato o dal principe, che approvava lo statuto (lex collegii). Ma, già nella seconda metà del sec. II d. C., il principato determinò la scomparsa delle associazioni per gli appalti dei tributi e, con la monarchia assoluta, rese obbligatoria l'appartenenza alle associazioni di mestiere e costrinse i figli a compiere la stessa attività del padre. Allora il collegium diventò un'associazione obbligatoria. Sopravvissute nell'impero bizantino (scholae), le corporazioni si svilupparono nel sistema economico, autarchico e chiuso, dei comuni. Loro scopo principale era di difendere gli interessi degli associati tutelando la libera concorrenza e la produzione. Dotate di un proprio statuto e di propri capi, raccoglievano i maestri di ciascuna arte, i loro socii e gli apprendisti (discipuli), il cui numero era generalmente mantenuto limitato. Dapprima libere, l'iscrizione a esse divenne in seguito obbligatoria per chiunque volesse esercitare un'arte o mestiere. Dopo il sec. XIII, mentre si accresceva la loro potenza economica, s'imposero anche sul piano politico, dove grande divenne la loro influenza nell'elezione di membri del governo e di magistrati. Tuttavia fu proprio questa eccessiva influenza politica che determinò la decadenza delle corporazioni a cominciare dal sec. XIV: principi e sovrani le sottoposero a uno stretto controllo considerandole solo un utile strumento di entrate fiscali e di disciplina del lavoro . D'altra parte i privilegi di cui godevano e gli ostacoli che imponevano allo sviluppo dell'attività produttiva le resero oggetto di aperta ostilità. Dappertutto ne fu reclamata l'abolizione e, in effetti, tra la fine del sec. XVIII e l'inizio del XIX le corporazioni scomparvero. Per l'epoca contemporanea, vedi corporativismo.

J. P. Waltzing, Ètude historique sur les corporations professionnelles chez les Romains, Roma, 1968; Autori Vari, Antiche corporazioni, Ravenna, 1981; C. Mozzarelli (a cura di), Economia e corporazioni, Milano, 1988.

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