dittatóre

sm. [sec. XIII; dal latino dictātor-ōris]. Chi governa uno Stato o esercita un'autorità in modo dispotico; tiranno. Per estensione, chi pretende di imporre sugli altri la propria volontà. § Nell'antica Roma, in età repubblicana, era un magistrato nominato, in via straordinaria, per l'adempimento di compiti eccezionali quasi sempre di carattere militare, talvolta anche religiosi. Il dittatore romano non poteva restare in carica per più di sei mesi; era nominato in età antica dai consoli su richiesta del Senato, e più avanti nei comizi. Il suo potere prevaleva su quello di ogni magistrato in carica. Lo scortavano 24 littori. Portava anche il nome di magister populi, per il comando supremo che aveva dell'esercito campale (detto anticamente populus); come tale si nominava un comandante in sottordine per la cavalleria, detto appunto magister equitum. Al dittatore era vietato di andare a cavallo. Nel sec. III a. C., quando anche la sua carica fu assoggettata al diritto d'appello al popolo, non vi si fece ricorso che raramente, come avvenne con Fabio Massimo il Temporeggiatore nella II guerra punica. Le dittature di Silla e di Cesare del sec. I a. C. non ripresero, dall'antico dittatore, che il nome, nel resto essendo cariche non contemplate dalla prassi costituzionale.§ Dictator clavi figendi causa, dittatore che gli antichi Romani creavano con funzioni esclusivamente sacerdotali e limitatamente a una specifica azione rituale: doveva piantare un chiodo (il cosiddetto clavus annalis) sulla parete destra della cella di Giove nel tempio capitolino. Si creava un dittatore quando mancava un magistrato autorizzato a compiere il rito o questo doveva essere ripetuto in seguito a una pubblica calamità.

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