eleatismo

sm. [da eleate]. L'insieme delle dottrine della scuola filosofica di Elea, fiorita nei sec. VI e V a. C., e i cui maggiori rappresentanti furono Senofane di Colofone, Parmenide, Zenone e Melisso di Samo. La scuola sviluppò la teoria dell'“essere” in contrasto con la dottrina del “movimento”, che fa capo a Eraclito. Parmenide rappresentò il momento più alto del pensiero eleatico: muovendo dalle concezioni teologico-monistiche di Senofane, suo maestro, egli sviluppò una teoria dell'essere come assoluta unità e totalità, immutabilità, immobilità e necessità (l'essere è e non può non essere; il non essere non è e non può essere). Per Parmenide la molteplicità delle cose e il correlativo concetto del movimento e mutamento sono contraddittori: essi sono pura apparenza, non-essere, e semplice apparenza è anche la conoscenza sensibile che li crede veri. Al contrario, l'essere, nella sua unità e totalità, può essere colto solo dal puro pensiero razionale, che sa superare la molteplicità della pura apparenza. Anzi, per Parmenide, “la stessa cosa è pensare ed essere”; l'essere è il vero e proprio contenuto del pensiero, è a esso intimamente coessenziale. La potenza di queste concezioni dell'eleatismo, che rappresentano il primo momento di autentica riflessione “ontologica” del pensiero occidentale, è da considerarsi decisiva per ogni sviluppo della filosofia seguente.

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