emofilìa

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sf. [sec. XIX; emo-+-filia]. Malattia ereditaria che si manifesta con tendenza alle emorragie dovute a un deficit di fattori della coagulazione sanguigna. L'emofilia colpisce i soggetti di sesso maschile, ma si trasmette attraverso la femmina, la quale può essere portatrice sana di un carattere genetico anomalo, cioè di un'anomalia del cromosoma sessuale X. Tale anomalia ha carattere recessivo, per cui ha la possibilità di manifestarsi clinicamente solo nel maschio (XY). Nella femmina (XX) portatrice del gene alterato il disturbo non si manifesta per un fenomeno di “inattivazione cromosomica”, cioè per la soppressione del gene anomalo a opera dell'altro cromosoma normale. Teoricamente anche la donna può essere emofilica qualora sia figlia di un emofilico e di una donna portatrice. La comparsa dell'emofilia non sempre è prevedibile in base alle regole della trasmissione dei caratteri ereditari; infatti, la malattia può “saltare” intere generazioni per motivi che non sono ancora chiari. Esistono d'altra parte molti esempi di emofilia senza positività familiare, dovuti forse alla mutazione spontanea di un cromosoma X materno. Esistono forme diverse di emofilia: la malattia classica, o emofilia A, è la forma più frequente (80% dei casi) ed è dovuta all'insufficiente produzione del fattore VIII della coagulazione sanguigna (fattore antiemofilico). Nell'emofilia B, o morbo di Christmas, è invece carente il fattore IX. La carenza del fattore XI o PTA (Plasma Tromboplastin-Antecedent) è all'origine dell'emofilia C, o di Rosenthal. Talora l'emofilia può essere legata a un deficit funzionale, più che quantitativo, dei fattori della coagulazione. Le diverse forme si presentano con lo stesso quadro clinico: emorragie frequenti, spontanee, oppure provocate da microtraumi e da ferite banali. Di solito le emorragie compaiono nei primi anni di vita, in particolare con la deambulazione e la prima dentizione. Spesso recidivano nella stessa sede (per esempio nella stessa articolazione). Piuttosto comuni sono le emorragie nasali, gengivali, l'ematemesi, le emorragie dolorose a carico dei muscoli. Più gravi sono le emorragie articolari (ginocchio, anca, spalla, gomiti, ecc.). Nel trattamento dell'emofilia vengono utilizzati mezzi farmacologici (vitamina K, bioflavonoidi, corticosteroidi), trasfusioni, preparazioni concentrate di fattore VIII e di plasma. La malattia, invalidante, ha visto un miglioramento della prognosi vitale e funzionale dal 1970 con la messa a punto dei concentrati di fattori plasmatici antiemofilici. Un grave problema per gli emofilici è stata la diffusione dell'infezione da HIV (il virus responsabile dell'AIDS). Poiché la produzione dei concentrati di fattori antiemofilici avviene a partire da plasma proveniente da diversi donatori, si è verificata per gli emofilici una preoccupante esposizione al virus. I primi casi di AIDS fra gli emofilici sono stati diagnosticati nel 1982. Dal 1984 il rischio di trasmissione dell'HIV tramite i fattori antiemofilici è notevolmente ridotto grazie a processi di inattivazione usati per la loro produzione e allo screening per il virus HIV sui donatori di sangue Dal 1993 in Italia non sono stati più riscontrati casi in emofilici. Prospettive interessanti per i malati emofilici si aprono con la diffusione della terapia genica, già effettuata sperimentalmente con successo su alcuni pazienti.

A. Baserga, P. De Nicola, Le malattie emorragiche, Milano, 1965; M. M. Wintrobe, Clinical Hematology, Filadelfia, 1967; U. Teodori, Trattato di Patologia Medica, Torino, 1971; V. Fosella, A. Sagripanti, Il trattamento domiciliare dell'emofilia, Pisa, 1987.

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