grafologìa

sf. [sec. XIX; grafo-+-logia]. Studio della scrittura utilizzato per determinare le caratteristiche della personalità. Le prime indagini sull'interpretazione della scrittura come ricerca di elementi del carattere risalgono al sec. XVII: ne furono autori C. Baldi (1547-1634), M. A. Severino (1580-1656) e, più tardi, J. Lavater (1741-1801). Nel sec. XIX l'abate J.-H. Michon (1806-1881) coniò il termine grafologia, fondò la Société de graphologie e pubblicò Système de graphologie (1875) e Méthode pratique de graphologie (1878). Il sistema grafologico di Michon era basato sulla teoria dei “segni fissi” secondo la quale ogni segno caratteristico della scrittura corrisponde a una specifica particolarità del carattere. In seguito, gli studi del fisiologo Haricourt, basati sull'influenza dei movimenti automatici, portarono la grafologia nel campo scientifico e alcuni uomini di scienza vi presero interesse (Richet, Lombroso, Morselli). Fu J. Crépieux-Jamin (1859-1940) a elaborare un metodo razionale di grafologia e, rifiutando la teoria dei segni fissi, ad affermare il principio della connessione fra l'attività psichica e il complesso di proprietà grafiche rilevabile dall'analisi grafologica. Si occuparono inoltre di grafologia, fra gli altri, il fisiologo W. Preyer (Zur Psychologie des Schreibens, 1895), che sviluppò le sue indagini basandosi su alcune regole grafologiche precise, e L. Klages che ricercò connessioni fra scrittura e affettività. Nel tempo le applicazioni della grafologia hanno guadagnato sempre più spazio in campo medico, psicologico, d'orientamento professionale, ecc.

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