Descrizione generale

sf. [sec. XVIII; dal greco physiología]. Scienza che studia le funzioni degli organismi viventi a livello macroscopico e microscopico. Viene distinta in: fisiologia vegetale, che si occupa delle piante; fisiologia comparata, che studia le varie funzioni comparativamente tra vari organismi animali di diversi phyla; fisiologia umana, che costituisce una parte della medicina e studia il funzionamento degli organi sani; fisiopatologia, che studia il funzionamento degli organi ammalati. La fisiologia è rigorosamente basata sul metodo sperimentale: solo rimuovendo, alterando e comunque agendo su un determinato organo si riesce il più delle volte a comprenderne la funzione. Allo scopo si utilizzano animali scelti secondo lo studio in corso e poiché molti processi fondamentali (respirazione, divisione cellulare, ereditarietà, riproduzione) sono comuni a tutti o quasi gli organismi, il risultato delle prove può essere esteso a una vasta gamma di esseri viventi. Per spiegare molti comportamenti degli organismi la fisiologia utilizza modelli fisici, chimici e anche meccanici compatibili con le strutture anatomiche degli organi chiamati in causa, in quanto le stesse leggi applicabili su quei modelli possono essere riferite ai processi biologici. Data l'articolazione degli studi, in seno alla fisiologia sono nate delle specializzazioni, che si occupano ognuna di un unico organo o apparato. Così, la neurofisiologia studia il sistema nervoso centrale e periferico, la fisiologia cardiovascolare la circolazione del sangue e l'emodinamica, la scienza dell'alimentazione i meccanismi della digestione, la fisiologia del lavoro il consumo energetico di un organismo che lavora, ecc. § In sociologia, parte della disciplina che, in analogia con la fisiologia umana, studia il funzionamento e le relazioni tra i vari “organi” della società. L'espressione venne codificata dal francese Ph. Buchez che, pur affermando l'utilità dell'analogia tra fisiologia umana e fisiologia sociale, ne ribadiva le differenze: mentre infatti l'essere umano non muta fisicamente se non in tempi lunghissimi, la società è soggetta a continue variazioni. Pur con questa precauzione, gran parte della sociologia dell'Ottocento, soprattutto positivistica, ha utilizzato proficuamente questa analogia, facendo propria la distinzione tra punto di vista “anatomico” (le condizioni di esistenza della società) e “fisiologico” (i movimenti e i processi sociali). In questo senso, per esempio, A. Comte divideva la sociologia in statica e dinamica.

Fisiologia umana

Le prime interpretazioni delle funzioni organiche furono di carattere speculativo, così come si ritrovano nei testi di Alcmeone di Crotone, Empedocle e Democrito. Nei testi ippocratici si incontra la prima importante sintesi teorica delle funzioni dell'organismo il cui normale svolgimento è ricondotto all'equilibrio dei quattro umori (sangue, bile gialla, bile nera e flemma) e direttamente influenzato, oltre che da condizioni ambientali, da un calore interno, con centro nel cuore, e prodotto nell'incontro tra nutrimento e aria (pneuma) assorbita nei polmoni. Secondo Aristotele (sec. IV a. C.) l'anima forma e dirige i vari organi e ha sede nel cuore; al cervello egli attribuiva solo la funzione di raffreddare il sangue. Il riconoscimento più preciso delle funzioni di quest'organo, così come dei nervi e dei muscoli, fu opera della scuola di Alessandria durante i sec. IV e III a. C., soprattutto attraverso gli studi anatomici di Eurofilo ed Erasistrato. Galeno (sec. II), al quale si deve la sintesi duratura della medicina e della fisiologia antiche, identificò l'anima, principio organizzatore delle funzioni corporee, con lo spirito o pneuma a cui attribuì natura quasi materiale secondo tre forme distinte: naturale, che ha sede nel fegato; vitale, localizzato nel cuore; e animale, agente nel cervello. Secondo la fisiologia galenica i processi vitali, retti da leggi rigorose, sono sempre volti a scopi precisi e nulla in essi vi è di superfluo o manchevole: il sangue, composto dei quattro umori già individuati da Ippocrate e prodotto nel fegato, giunge alla parte destra del cuore e qui, attraverso la parete divisoria o setto, ritenuta perforata, passa alla parte sinistra (ventricolo), dove viene mescolato con il pneuma proveniente dai polmoni e riscaldato; le sue impurità vengono esalate attraverso i polmoni con il respiro. Lo spirito vitale giungendo col sangue nel cervello si trasforma in spirito animale che svolge le funzioni psichiche e, percorrendo i nervi, supposti cavi, giunge ai muscoli provocandone i movimenti. Per tutto il Medioevo la fisiologia non si discostò sensibilmente dall'insegnamento di Galeno e solo con le ricerche anatomiche svolte dal sec. XVI si ebbero nuovi sviluppi. Per primo A. Vesalio negò che il setto interventricolare che separa le due parti del cuore sia permeabile al sangue, mentre M. Serveto e R. Colombo suggerirono che per circolare dal ricettacolo destro del cuore a quello sinistro il sangue deve passare attraverso i polmoni (piccolo circolo). La completa dimostrazione della circolazione del sangue si ebbe nell'opera Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis (1628) di W. Harvey, che segnò l'inizio della fisiologia moderna. Harvey affermò che il sangue non compie un movimento di flusso e riflusso dal centro alla periferia attraverso i vasi, come aveva sostenuto Galeno, bensì viene espulso dal ventricolo sinistro, che si contrae a ogni pulsazione, e attraverso le arterie giunge a tutti gli organi dove, secondo le modalità successivamente chiarite con la scoperta dei vasi capillari da parte di Malpighi, trapassa nelle vene e giunge all'atrio destro del cuore (grande circolo). Questa rivoluzionaria scoperta, basata su osservazioni, vivisezione di animali e sul calcolo della quantità di sangue in movimento, apriva la via alla cosiddetta anatomia animata che studiava la funzione degli organi partendo dalla loro struttura; inoltre la considerazione del cuore come una pompa e dei vasi come condotte idrauliche si allineava alla concezione, teorizzata soprattutto da Cartesio, che gli organismi viventi fossero macchine. Fra i sostenitori di questo indirizzo: S. Santorio, che usò la bilancia per calcolare l'equilibrio delle sostanze assorbite ed espulse dall'organismo, e G. A. Borelli che applicò le leggi della meccanica allo studio della locomozione negli animali e del volo negli uccelli. A questa scuola iatromeccanica si contrappose nel Seicento quella iatrochimica. Già Paracelso, nel secolo precedente, aveva sostenuto che il corpo umano è essenzialmente un sistema chimico composto da mercurio, zolfo e sale, e J. B. van Helmont, suo seguace, indicò col termine gas i fermenti che governano le funzioni vitali; questi, secondo F. Sylvius, si basano sull'equilibrio di sostanze acide e alcaline. T. Willis suppose che la contrazione muscolare fosse dovuta a una sorta di esplosione di particelle sulfuree e nitriche del sangue, mentre R. Lower e J. Mayow ritennero che la respirazione non sia destinata a raffreddare il sangue bensì a trarre dall'aria una sostanza indispensabile alla vita. Nei primi anni del Settecento furono elaborate grandi sintesi teoriche fondate sulla concezione che l'organismo è retto da un unico centro. Per F. Hoffmann, meccanicista, le funzioni sono regolate da uno spirito derivante dall'etere cosmico e agente come sottile materia attraverso il sistema nervoso. Per G. E. Stahl, vitalista, tutto è retto dall'anima immateriale che salva il corpo sino alla morte dalla decomposizione chimica. Verso la metà del sec. XVIII si affermò l'idea dell'attività spontanea della materia, della sua capacità di produrre la vita. Per J. O. La Mettrie non solo l'animale ma anche l'uomo è considerato una macchina, concepita però non come un insieme di ipotetici congegni artigianali bensì come materia organizzata in modo tale che cuore e muscoli si muovono anche se isolati. Questa concezione fu sviluppata dalla scuola medica di Montpellier, in particolare da T. Bordeu il quale ritenne che gli organi abbiano una vita propria e si armonizzino per mutuo consenso o simpatia. Tale concezione pluralistica o federativa dell'organismo portò a una fusione del vitalismo con il materialismo attraverso il riconoscimento della vita come una proprietà peculiare della materia e non come effetto dell'anima. Sempre intorno alla metà del secolo si aprì un nuovo capitolo della fisiologia moderna con gli studi di A. Haller sull'irritabilità e sensibilità che furono riconosciute come proprietà di strutture anatomiche precise (muscoli e nervi) e risultanti dall'applicazione di stimoli differenti, cui l'organismo reagisce. Al sorgere dell'Ottocento la fisiologia trasse nuovo impulso dagli studi di anatomia: X. Bichat scompose gli organi nei rispettivi tessuti considerati i portatori delle proprietà vitali; F. Magendie distinse i nervi sensoriali da quelli motori. La sensazione visiva nei suoi aspetti soggettivi fu indagata da J. Müller che teorizzò l'energia specifica dei nervi per cui questi reagiscono in modo costante agli stimoli più diversi (colore, suono, ecc.). Abbandonando il vitalismo, i suoi allievi H. Helmholtz, E. Du Bois-Reymond, E. Brücke formarono, verso la metà del secolo, la nuova scuola meccanicistica destinata a trionfare anche in seguito alla ripresa degli studi al microscopio. L'osservazione delle cellule, riconosciute come le unità elementari della vita, portò R. Virchow a concepire l'organismo come la somma degli individui cellulari che permangono nella massima autonomia possibile. Un'importanza decisiva per lo sviluppo della fisiologia assunsero in questo secolo le ricerche di chimica. Lavoisier aveva stabilito che respirazione e combustione sono processi di ossidazione produttori di calore; J. Berzelius compì i primi tentativi per stabilire la composizione delle sostanze organiche a partire da carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto; per J. Liebig una forza vitale opera la sintesi di tali sostanze. Dopo il 1850, con l'affermarsi del principio di conservazione dell'energia, ciò non apparve più sostenibile. Le indagini furono orientate a stabilire quali sostanze chimiche siano assorbite o espulse e in qual modo si trasformino nell'organismo che appare ormai come una macchina termica che produce lavoro attraverso una lenta combustione che non avviene nei polmoni o nel sangue, bensì nelle cellule. Altri impegnativi campi di ricerca furono la contrazione muscolare e la natura degli enzimi. La riduzione della fisiologia a indagine fisico-chimica trascurava spesso gli aspetti peculiari degli organismi favorendo qualche effimero ritorno al vitalismo. Si riconobbe, tuttavia, sempre più l'importanza dei processi di interazione fra organi e di regolazione delle funzioni che garantiscono la conservazione e l'adattamento all'ambiente. Già C. Bernard aveva considerato il sangue come un mezzo interno di stabilizzazione delle funzioni rispetto al variare dell'ambiente. Con la scoperta della secrezione di ormoni da parte delle ghiandole endocrine risultava una nuova rete di interazione e di regolazione che si integrava con quella del sistema nervoso. Per quest'ultimo, che era sempre stato uno dei più difficili campi d'indagine della fisiologia, i maggiori contributi si ebbero da: P. Flourens, che accertò essere il cervello la sede delle funzioni psichiche superiori (si giunse anche a localizzare nella sua corteccia centri sensoriali e motori); M. Hall, che individuò l'azione riflessa come base dei movimenti involontari legati al midollo spinale; H. Jackson, che concepì il sistema nervoso come una macchina sensomotoria con tre livelli di organizzazione, quello riflesso, quello dei centri intermedi e quello volontario. Quest'ultimo fu collegato in modo inequivocabile alla corteccia, che venne studiata anche in base alla teoria dei riflessi condizionati formulata da I. P. Pavlov. Tali funzioni vengono analizzate da punti di vista e con metodologie estremamente diverse e specializzate, dalla cibernetica alla biologia molecolare, all'analisi del comportamento animale. Tali indirizzi, pur essendo aperti a un fecondo incontro interdisciplinare, non sono giunti ad adeguate sintesi teoriche.

Fisiologia vegetale

La fisiologia vegetale come scienza ha origini recenti; tuttavia osservazioni sui fenomeni vitali delle piante si trovano già presso gli antichi. Aristotele e il suo discepolo Teofrasto, autore del De causis plantarum, ritennero che le piante traessero dalla terra le sostanze nutritive già sotto forma direttamente assimilabile. Tale concezione, in parte ripresa da Cesalpino, dominò praticamente fino al sec. XVI, quando, avvalendosi dei progressi della chimica e della fisica, furono avviati i primi studi su basi sperimentali sul processo di nutrizione delle piante, sulla circolazione della linfa e sul trasporto delle sostanze sotto forma di soluzione. J. B. van Helmont, basandosi sulle sue esperienze, ritenne che i vari costituenti delle piante fossero fabbricati dalle piante stesse. E. Mariotte tentò di ricondurre a processi chimici o fisici la nutrizione e la crescita delle piante. Fondamentale per lo sviluppo della fisiologia vegetale fu l'opera di S. Hales, che svolse una serie di sistematiche esperienze sul problema della circolazione della linfa mettendo in luce soprattutto il ruolo svolto dalla traspirazione delle foglie e scoprendo la pressione radicale. La funzione della clorofilla fu evidenziata verso la fine del sec. XVIII da J. Priestley il quale dimostrò che le piante verdi sono capaci di emettere “aria vitale”, cioè ossigeno. G. Ingenhousz completò questa osservazione constatando che soltanto le parti verdi delle piante e solo alla luce svolgono “aria vitale” e diede in seguito l'esatta interpretazione del fenomeno avvalendosi delle scoperte di A.-L. Lavoisier. L'insieme degli scambi gassosi che avvengono nelle piante furono ulteriormente precisati da J. Sebenier, il quale riconobbe che l'anidride carbonica viene scomposta dalle piante, sotto l'influenza della luce, con emissione di ossigeno. All'inizio del sec. XIX T. de Saussure eseguì precise esperienze che consentirono di valutare in termini quantitativi i fenomeni che avvengono durante la nutrizione. H. Dutrochet scoprì le leggi fondamentali che regolano la permeabilità e i fenomeni dell'osmosi, in seguito precisati anche da W. Pfeffer. La fisiologia vegetale trasse nuovo impulso dagli studi di J. Sachs che, in un gruppo di lavori pubblicati tra il 1860 e il 1865, riconobbe il significato generale dei processi fotosintetici e chiarì come e dove avviene l'organicazione dell'anidride carbonica sino alla formazione di amido. Ricerche intorno alla nutrizione minerale furono avviate da J. Liebig e successivamente da J.-B. Boussingault, i quali dimostrarono l'importanza delle sostanze azotate, e soprattutto dei nitrati, per la vita vegetale. Nel 1887 H. Helbriegel e H. Wilfarth scoprirono la fissazione biologica dell'azoto. Con il sec. XX ha inizio un nuovo periodo per la fisiologia vegetale: si scoprono i fenomeni comuni che erano passati inosservati (fotoperiodicità) così come l'esistenza di caratteri fisiologici ereditari; si isolano sostanze regolatrici dello sviluppo; si scoprono molti enzimi e, utilizzando la tecnica degli elementi marcati e della cromatografia, si chiarì il processo della fotosintesi. Risulta peraltro difficile operare una separazione tra la fisiologia vegetale e la biochimica, scienze che, unitamente alla genetica, hanno sempre più contribuito all'affermarsi della biologia molecolare, mentre più stretti diventano i legami tra fisiologia vegetale ed ecologia.

Bibliografia

Per la storia della scienza

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Per la fisiologia umana

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Per la fisiologia vegetale

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