Linguistica

agg. e sf. Insieme di dialetti neoindiani che si possono raccogliere in un gruppo occidentale (all'incirca dal Punjab a Kanpur) e in uno orientale (da Kanpur alla frontiera col Bihar). Il più importante dialetto del gruppo occidentale è l'indostano. Una sua varietà è la hindī propriamente detta, che ha alla base il dialetto nagār apabhramsa, scritta in caratteri devanagarici, con riduzione nel lessico dei termini arabi e persiani a vantaggio di quelli sanscriti; dal 1949 è diventata la lingua ufficiale dell'Unione Indiana. Presenta una struttura fonetica e morfologica fortemente semplificata rispetto a quella dell'indiano antico: l'originario accento musicale è stato sostituito da un debole accento espiratorio; le vocali finali scompaiono e i nessi consonantici si semplificano allungando le vocali precedenti; spariscono il genere grammaticale neutro, il numero duale e l'antica flessione nominale scompare; le relazioni grammaticali sono espresse a mezzo di posposizioni; anche l'antico sistema verbale è molto semplificato e si ricorre spesso a forme perifrastiche.

Letteratura: dalle origini al sec. XVII

I primi esperimenti letterari in lingua hindī risalgono al sec. VIII con gli scritti tantrici del siddha Sarhapā, ai quali fece seguito una vasta letteratura filosofico-esoterica che ebbe in Gorakhnāth (940-ca. 1030) il suo massimo esponente. Verso il sec. X l'India settentrionale subiva uno dei più profondi rivolgimenti della sua storia. L'illuminata dinastia egemonica dei Gupta si era estinta e l'ex impero si sgretolò in una miriade di feudi rājpūt in perpetuo conflitto tra loro. La prima poesia hindī vide, dunque, la luce nei torvi fortilizi dei clan e fu di conseguenza rozza e marziale, tramandata oralmente e adattata alle bellicose esigenze dei suoi mecenati. Gran parte di queste ballate bardiche è andata perduta, ma ce ne è giunto l'esemplare forse più valido, il Pṛthvīrāj Rāso (Imprese di Pṛthvīrāj) di Cand Bardāī (1126-1192), una vivace epica storico-eroica che narra le peripezie del noto eroe rājpūt. Trascendono il rude periodo bardico le raffinate liriche (Padāvalī) intorno alla saga amorosa di Kṛṣṇa e Rādhā di Vidyāpati (ca. 1350-ca. 1450), precursore della scuola devozionale visnuita. Questa rappresenta la porzione cospicua e articolata della letteratura medievale. La conquista musulmana, ormai penetrata a fondo nel Paese, portò alla nascita di romanzi sufi in hindī, come Candāyan di Maulānā Dāūd (1379), in cui la narrazione di una storia indiana è impregnata di amore divino, proprio della filosofia sufi. In seguito, in questo stesso filone, Jāyasī (1493-1542) produrrà il suo famoso romanzo Padmāvat (1540). La speculazione filosofico-teologica dal sec. XIV al XVI si incanalò in tre correnti parallele: l'agnostica nirguṇa (senza attributi), proclamante il monismo impersonale di Dio, la visnuità, puramente indù, che vedeva in Viṣṇu la divinità principale, e la sufica, d'estrazione musulmana e più incline alla favolistica che non alla teologia. Profeta della prima tendenza fu Kabīr (prima metà del sec. XV-1518), autore di inni, dalle rime rozze e dai contenuti profondi, che attrasse alla sua longanime filosofia anche Dadu di Ahmedabad (1544-1603), mentre vessillifero della seconda e più diffusa corrente fu il mistico Tulsīdās (1532-1623), il massimo poeta dell'India di tutti i tempi e di tutte le lingue, autore del Rāmacaritamānasa (Lago ricolmo delle imprese di Rāma), rifacimento del Rāmāyana di Vālmīki, ma a questo incommensurabilmente superiore. Il culto kṛṣṇaita ebbe in Vallabhācārya (1479-1530) il primo dei suoi apostoli, nel cieco Sūrdās, creatore del Sūrsagār (Oceano della devozione), il suo più grande cantore e nella dolce Mīrābāī (1516-1543) la devota più vereconda.

Letteratura: età moderna e contemporanea

La letteratura dal sec. XVIII al XIX fu dominata da un uggioso formalismo e solo dopo la conquista britannica le lettere si riscossero dal loro torpore. La prosa, fino allora pressoché sconosciuta, si affermò rapidamente grazie al contributo di valenti narratori, tra i quali si ricordano Kishorī Lāl Gosvāmī (1865-1932), H. Bhartendu (1850-1885) e Devakīnandan Khatrī (1862-1913), mentre la poesia si rinnovava completamente attraverso le opere modernistiche del “quartetto del Chhāyavāda (Scuola delle ombre) costituito da S. Pant (1900-1977), Nirālā (1896-1961), J. Prasād (1889-1937) e M. Varmā (1907-1987). L'epoca contemporanea, fertilissima, venne introdotta da Premchand (1880-1936) con i suoi splendidi romanzi realisti ed è validamente rappresentata dai poeti Aghyeya (1911-?), Dinkar (1908-1974), H. Bacchan (1907-?) e B. P. Mishra (n. 1914) e dai prosatori B. Sahani (n. 1926), F. N. Renu (1926-1976), D. Bhārtī (n. 1926). Un cenno a parte merita, fra i poeti, Muktibodh (n. 1917), che occupa una posizione di primo piano per i suoi versi pervasi da una immaginazione ricca e spiccatamente originale.

Bibliografia

Per la lingua

S. Lienhard, Dal sanscrito all'hindī, Venezia, 1963; G. H. Fairbanks, B. G. Misra, Spoken and Written Hindī, Ithaca-New York, 1966; T. K. Bhatia, A History of the Hindī grammatical Tradition, Leida, 1987.

Per la letteratura

R. Tagore, One Hundred Poems of Kabir, Londra, 1961; D. Bhattacharya, Love Songs of Vidyapati, Londra, 1963; L. P. Mishra, M. Bruni, Poesia moderna indiana, Parma, 1966; R. Gnoli, L. P. Mishra, Antologia della letteratura dell'India, Milano, 1971.

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