invìdia

sf. [sec. XIV; dal latino invidía]. Sentimento di segreto livore per la fortuna o i meriti altrui: avere invidia di qualcuno (o contro qualcuno); essere roso dall'invidia; schiantare, crepare d'invidia; il tarlo dell'invidia, il segreto struggimento di chi guarda con malevolenza al bene altrui. Nella misura in cui al rancore si unisce l'intimo augurio che il bene altrui volga in rovina l'invidia è considerata dalla dottrina cattolica uno dei sette vizi capitali. Con significato benevolo, sentimento di ammirazione per ambite qualità o fortune altrui: il suo coraggio farebbe invidia a chiunque; una fama degna di invidia. Anche in senso concreto, l'oggetto di tale disposizione d'animo: quella macchina era l'invidia di tutti i suoi amici. In particolar, in psicanalisi, invidia del pene, che consiste nel complesso di castrazione della bambina, caratterizzato dal desiderio di possedere il membro virile. La teoria kleiniana dà al sentimento dell'invidia un ruolo molto più precoce e fondamentale nello sviluppo della personalità. Infatti secondo tale teoria, non appena il bambino diventa consapevole del fatto che la mammella è la sorgente di ogni conforto, sia fisico sia mentale, sperimenta il desiderio di possederla e conservarla, ma contemporaneamente di assumerne lui stesso le qualità. La consapevolezza dell'impossibilità di questo lo porta a distruggere nella fantasia l'oggetto, per eliminare la fonte dei dolorosi sentimenti di invidia. Se questa invidia primitiva è molto intensa interferisce con il normale sviluppo della personalità in quanto diventa impossibile il rapporto di dipendenza da oggetti ideali di amore e di aiuto.

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