iperplasìa

sf. [sec. XIX; iper-+-plasia]. Aumento di volume di un organo per aumento numerico delle cellule costituenti. Si verifica nei tessuti le cui cellule si moltiplicano continuamente e che, quindi, sono soggetti a un continuo rinnovamento, per esempio, il tessuto emopoietico e l'epidermide; un altro esempio è costituito dalla proliferazione dei precursori dei globuli rossi nel midollo osseo ( midollare) in uno stato di anemia, oppure, in caso di abrasione della cute, la moltiplicazione delle cellule epiteliali di rivestimento. Un esempio particolare di iperplasia, detta anche compensatoria o correlativa, è quella di alcuni tessuti in risposta a stimolazione ormonale: i casi più tipici sono l'iperplasia della mammella dopo il parto per l'azione della prolattina, e quella dell'utero durante la gravidanza. Infine una condizione iperplastica di surrene, tiroide e ghiandole sessuali può dipendere da stimolazione, fisiologica o patologica, da parte dell'ipofisi. Si dicono funzionali quelle provocate dall'aumento del lavoro di un organo che deve compensare la mancanza di quello controlaterale per aplasia o perché asportato chirurgicamente (rene), o che deve affrontare resistenze patologiche per un ostacolo alla progressione del contenuto e allo svuotamento (vescica a colonne in caso di ipertrofia prostatica). § Nei vegetali l'iperplasia si manifesta sia con alterazioni dei normali tratti istologici, ossia con la produzione di tipi abnormi di tessuti (iperplasia qualitativa), sia con eccessi nell'accrescimento numerico dei componenti cellulari (iperplasia quantitativa), determinati da irregolare accelerazione del ritmo di divisione mitotica.

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