irrazionalismo

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sm. [sec. XIX; da irrazionale]. Dottrina o atteggiamento di pensiero che si basa sui sentimenti, le passioni, gli istinti, l'intuizione, la fede, l'esperienza estetica e ripudia quindi l'attività razionale come via alla verità. L'irrazionalismo può essere radicale, se nega o rifiuta decisamente la stessa razionalità del reale (irrazionalismo metafisico); moderato, se privilegia forme d'esperienza diverse da quella puramente razionale, ma non nega quest'ultima né la pone come antitetica alle precedenti, e neppure mette radicalmente in forse l'intrinseca razionalità del reale, cui tuttavia preferisce accedere per altre vie. Queste due forme di irrazionalismo, così come la polemica fra irrazionalismo e razionalismo, si sono presentate di continuo nella storia della filosofia: sono esempi d'irrazionalismo le dottrine di Schopenhauer e di E. von Hartmann, come pure certe forme di misticismo assoluto e lo stesso pensiero di Nietzsche, di Bergson, di James, ecc. Si tratta però di un concetto troppo condizionato dal suo opposto per poter avere validità quale elemento discriminatore fra le varie correnti e dottrine filosofiche.

Bibliografia

N. Abbagnano, Le sorgenti irrazionali del pensiero, Napoli, 1923; A. Aliotta, Le origini dell'irrazionalismo contemporaneo, Napoli, 1950; G. Lukács, Die Zerstörung der Vernunft, Berlino, 1955; A. M. Moschetti, L'irrazionalismo nella storia, Bologna, 1964; N. Abbagnano, Storia della filosofia, Torino, 1982.

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