Definizione

sm. [sec. XX; dal nome di Mao Tse-tung]. Il pensiero filosofico, ideologico e politico di Mao Tse-tung; la teoria e la pratica dei suoi seguaci in Cina e nel mondo. Il maoismo è innanzi tutto uno sviluppo creativo del materialismo dialettico marxista, che, soprattutto nel periodo della rivoluzione culturale, venne propagandato e studiato in Cina da milioni di persone come guida razionale della propria prassi nella vita politica, produttiva e scientifica e come strumento di educazione dell'intelligenza, della volontà e dei sentimenti. La concezione del materialismo dialettico di Mao è innovatrice soprattutto in due punti: nell'accentuazione del valore della pratica, per cui si afferma che ogni teoria viene dalla pratica e serve alla pratica, e dell'iniziativa trasformatrice dello “spirito” (che, benché derivato dalla materia e condizionato dalla realtà esterna, può incidere creativamente liberando le potenzialità riposte nell'oggettività); nell'arricchimento delle articolazioni della dialettica, con la rigorosa distinzione fra contraddizioni antagonistiche e non-antagonistiche e con il rilievo, in un insieme di rapporti, della contraddizione principale e delle secondarie e degli aspetti principale e secondario di una contraddizione. Da questa impostazione ontologica discendono, nell'ambito del materialismo storico, l'affermazione del primato del “popolo”, detentore della pratica trasformatrice, quale creatore di storia rispetto agli “eroi”, e una complessiva dottrina della società socialista. Nel socialismo permangono la divisione in classi e la lotta di classe, in quanto l'abolizione della proprietà privata non costituisce ancora l'abolizione della divisione del lavoro, dei ruoli e delle funzioni produttiva e amministrativa, e delle differenze retributive.

Cenni storici: il passaggio dal socialismo al comunismo

Il passaggio dal socialismo al comunismo deve avvenire mediante il progressivo superamento di queste contraddizioni, che vanno accuratamente distinte fra antagonistiche e non-antagonistiche: le prime sono quelle che dividono il popolo da quei dirigenti e burocrati che tendono a perpetuare posizioni di privilegio e di dominio e a reintrodurre forme di sfruttamento; le seconde sono quelle, transitorie, che possono insorgere “in seno al popolo” fra gli interessi del proletariato industriale e quelli dei contadini e della piccola borghesia intellettuale e impiegatizia. Questo cammino verso il comunismo non va condotto in modo affrettato e aprioristico, ma con un meditato impegno “ininterrotto e per tappe”, che sappia rispondere ai problemi di volta in volta insorgenti con soluzioni più avanzate e “mature”, condivise dalle masse. Così la battaglia della rivoluzione culturale per la democratizzazione dei rapporti di produzione e per la penetrazione del proletariato nella “sovrastruttura” delle leve di comando amministrative, tecniche, culturali ed educative è stata in certo modo imposta dalle circostanze: dalla necessità di superare le contraddizioni tipiche di un'economia pianificata senza ricadere nelle tendenze “economicistiche” e individualistiche, fondate sul profitto e sugli incentivi materiali, sostenute da Liu Shao-ch'i. Ma questa ondata rivoluzionaria non doveva, secondo Mao, staccarsi dalle intenzioni e dai sentimenti delle masse e non poteva pretendere di spingersi troppo avanti senza finire per disorientarle e reprimerle. Da ciò il rifiuto dell'egualitarismo assoluto e dell'autoritarismo produttivistico propugnati da Lin Piao. Al principio politico “dalle masse alle masse” – secondo il quale il Partito comunista trae i suoi indirizzi dai bisogni e dai sentimenti del popolo, attraverso approfondite inchieste, organizzandoli in programmi e decisioni da verificarsi ancora nella pratica realizzazione e da confrontarsi con i giudizi delle masse – va accostato il principio cardine della politica economica maoista dello sviluppo graduale, che sappia contemperare le esigenze immediate di accrescimento di benessere dei cittadini con quelle a lunga scadenza della pianificazione e del potenziamento delle strutture produttive. In questa linea s'inseriva la norma di mantenere “l'agricoltura al primo posto e l'industria come fattore principale”. Nella politica internazionale, il maoismo si opponeva alla spartizione del mondo in zone d'influenza e di “sfruttamento imperialistico” delle due superpotenze americana e sovietica, appoggiava le lotte dei popoli per l'indipendenza e sosteneva, in aspra antitesi con il “revisionismo” della strategia parlamentare e riformista, la via rivoluzionaria al socialismo.

Cenni storici: il maoismo dopo la morte di Mao

A seguito della morte di Mao (1976) e dell'emergere del nuovo gruppo dirigente più moderato, il maoismo ha subito un sensibile riassetto. I nuovi leader Teng Hsiao-p'ing e Hua Kuo-feng hanno dapprima sconfitto le frange estremistiche del movimento maoista, rappresentate dalla cosiddetta “banda dei quattro” (fra i quali la stessa vedova di Mao) eliminando, in nome di un efficientismo pragmatico, l'eccessiva esasperazione ideologica della vita politica del Paese e impegnando la Cina in un grandioso processo di trasformazione economica basata sull'industrializzazione, sull'apertura ai mercati occidentali (accordi economici con la CEE, USA e Giappone) e su un maggiore dinamismo in campo politico internazionale (rottura dei rapporti preferenziali con l'Albania, relazioni diplomatiche con gli USA, sostegno alla guerriglia in Cambogia contro il Viet Nam e in Afghanistan contro l'URSS, ecc.). Questa linea di realismo pragmatico, che chiudeva definitivamente con il maoismo, è stata successivamente confermata in Cina. Ciò aveva come conseguenza anche la crisi delle numerose organizzazioni marxiste-leniniste di ispirazione maoista sorte nel mondo nella seconda metà degli anni Sessanta e quasi dappertutto scomparse alla fine del sec. XX.

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