marginalità

Indice

sf. s. [sec. XX; da marginale].

1) Condizione di ciò che è marginale.

2) Fig., stato di emarginazione. In particolare, collocazione ai punti più esterni e lontani di un sistema sociale di un individuo o un gruppo, che in tal modo si trovano esclusi sia dalla partecipazione al governo del sistema sia dalla fruizione delle risorse, pur avendone formalmente il diritto. La marginalità può esprimersi a diversi livelli; può essere politica, economica, religiosa e occupare una posizione marginale a un certo livello non vuol dire occuparla a tutti. Esemplare è il caso storico degli Ebrei, relegati in posizione marginale dal punto di vista religioso e politico, ma non da quello economico. In tal senso, la marginalità non è necessariamente legata alla povertà, benché questa sia un forte fattore di marginalità. La marginalità spesso si identifica con limiti spaziali, vale a dire che si esprime anche a livello di morfologia sociale. Per rimanere all'esempio ebraico, il ghetto esprimeva fisicamente la loro marginalità politica e religiosa, così come realtà spaziali come le favelas o le bidonvilles riflettono una marginalità economica e sociale. Lo stesso ruolo può essere ascritto ai quartieri degli immigrati, o anche, in un certo senso, alle case di riposo per anziani. Alcune scuole sociologiche (Simmel, Park, Stonequist) hanno legato il concetto di marginalità a quello di straniero, che cerca di farsi accettare dalla nuova società senza riuscirci sia per i legami ancora forti che mantiene con le tradizioni e la cultura del suo gruppo etnico d'origine, sia per i pregiudizi che incontra nel gruppo ospite. In questo senso, il contrario della marginalità è l'integrazione sociale. Infine, può darsi il caso di frange sociali che deliberatamente scelgono una posizione di marginalità, per sottrarsi alle regole del sistema sociale in cui vivono e quindi esprimono una controcultura.

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