Lessico

sf. [sec. XVI; dal latino pensíonis, pesatura, poi pagamento, rata].

1) Trattamento economico erogato, alle prescritte condizioni di legge, dallo Stato o da appositi enti pubblici previdenziali ai lavoratori che per età o per invalidità non siano più in grado di assicurarsi mezzi adeguati alle esigenze di vita, o ai loro superstiti.

2) Prestazione quotidiana di vitto e alloggio da parte di alberghi, istituti o privati dietro pagamento di un importo stabilito. Per estensione, la somma da pagarsi; anche albergo modesto a trattamento familiare o la casa che ospita pensionanti.

3) Ant., salario, stipendio.

Diritto: generalità

In Italia, le pensioni sono gestite dallo Stato, dall'Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS), dalle Casse Pensioni facenti capo al Ministero del Tesoro quali la Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali (CPDEL), la Cassa per le pensioni ai sanitari (CPS), l'Istituzione Nazionale per i dirigenti d'azienda industriali (INPDAI) e altri enti minori. Lo Stato gestisce le pensioni per i propri dipendenti civili e militari; l'INPS quella per i lavoratori dipendenti, impiegati od operai, e i lavoratori autonomi (mezzadri e coloni, artigiani, piccoli commercianti, coltivatori diretti) – ammessi in tempi relativamente recenti alla tutela previdenziale – ma anche taluni dei trattamenti pensionistici di particolari categorie di lavoratori (dipendenti aziende di volo, dipendenti ENEL e aziende elettriche private, dipendenti aziende gas, ecc.) che, in linea di massima, sono affidati agli enti previdenziali minori. Nel 1969 è stata introdotta la pensione “sociale”, che viene liquidata, sempre dall'INPS, ai cittadini ultrasessantacinquenni sprovvisti di altri redditi e che, non avendo mai avuto copertura contributiva, non hanno maturato il diritto ad alcun trattamento di vecchiaia. In verità la creazione della pensione sociale ha un po' modificato il significato dato al termine pensione, ma essa deve essere considerata come il rimedio estremo per risolvere le situazioni di bisogno dei cittadini. Del tutto particolare è la pensione di guerra. Dal 1960 esiste anche una pensione parlamentare, con un'apposita Cassa di Previdenza, che provvede a corrispondere un vitalizio ai parlamentari che abbiano 55 anni di età e 10 di mandato o 60 di età e 5 di mandato. Successive disposizioni hanno esteso la pensione parlamentare anche ai deputati che dopo il delitto Matteotti si opposero al fascismo. Prima della riforma introdotta dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, la pensione di vecchiaia veniva corrisposta ai lavoratori giunti al 60º anno e alle lavoratrici giunte al 55º anno di età. A decorrere dal 1º gennaio 1993 il diritto alla pensione di vecchiaia per i lavoratori dipendenti è subordinato al compimento di una data età "Vedi tabella dell’età pensionabile vol. 17, pag. 48" . L'elevazione dei limiti di età non si applica agli invalidi oltre l'80%. Il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro, al decorrere degli anni previsti dall'inizio dell'assicurazione e dall'accredito in favore dell'assicurato degli anni di contribuzione previsti "Vedi tabella degli anni di contribuzione vol. 17, pag. 48" . Il Parlamento ha approvato poi, il 4 agosto 1995, una nuova e più radicale legge di riforma del sistema pensionistico italiano che ne risulta radicalmente mutato. La riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare porta il nome dell'allora ministro Dini ed è contenuta nella legge 8 agosto 1995, n. 335. I tre cardini del nuovo sistema sono il passaggio dalla pensione di anzianità a quella di vecchiaia, l'adozione di un nuovo metodo di calcolo basato non più sulla retribuzione (ovvero la pensione rapportata alla retribuzione) bensì sulla contribuzione (vale a dire la pensione rapportata ai contributi versati) e lo spartiacque di 18 anni di contribuzione per l'applicazione di uno o l'altro dei sistemi. Infatti coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contribuzione hanno diritto alla pensione di anzianità calcolata secondo il sistema tradizionale (retributivo) con i correttivi della riforma; a coloro che, alla stessa data, avevano meno di 18 anni di contributi viene applicato un metodo misto (detto pro rata): fino al 31 dicembre 1995 i trattamenti sono stati calcolati secondo il sistema retributivo, dal 1996 secondo quello contributivo. Esclusivamente questo metodo è applicato ai neoassunti dal 1º gennaio 1996 (data di entrata in vigore del nuovo sistema). Il nuovo sistema prevede che presso l'istituto di previdenza sia aperto per ciascun lavoratore una sorta di conto su cui vengono registrati i contributi maturati in base al versamento di un'aliquota che ammonta al 33% per i lavoratori dipendenti e al 20% per gli autonomi. Sulla cifra accantonata il lavoratore riceverà un interesse composto, definito tasso annuo di capitalizzazione, calcolato sulla media del PIL del quinquennio precedente l'anno di rivalutazione calcolata dall'ISTAT. La somma dei contributi versati e degli interessi maturati si definisce montante contributivo individuale che, allorché il lavoratore avrà raggiunto i requisiti d'età (57 anni), di contribuzione (minimo di 5 anni) e di pensione maturata (non inferiore a 1,2 volte l'ammontare dell'assegno sociale), viene moltiplicato per il cosiddetto coefficiente di trasformazione che varia a seconda dell'età anagrafica del pensionando. La legge prevede che tali coefficienti siano periodicamente rivisti. Il risultato che si ottiene corrisponde all'importo al lordo della nuova pensione. Il tetto contributivo non può superare per i neoassunti al 1º gennaio 1996 i 132.000.000 lordi annui. Nella prima fase di applicazione della legge sia per i dipendenti privati sia per i pubblici è prevista la possibilità di andare in pensione a 52 anni di età (gradualmente innalzata, entro il 2006, a 57) e con 35 anni di contribuzione o, indipendentemente dall'età anagrafica, con 36 anni di contribuzione a partire dal 1º gennaio 1996 (gradualmente elevati a 40 entro il 2008). Ai dipendenti pubblici sono riservate ulteriori possibilità: andare in pensione con un'età non inferiore ai 52 anni e l'anzianità contributiva prevista dalla disciplina anteriore, ma con decurtazioni che vanno dall'1 al 35%, a seconda degli anni che mancano per arrivare ai 35 anni di contribuzione, oppure con 19 anni di anzianità alla fine del 1995. In questo caso sono applicate penalizzazioni sul periodo che manca per raggiungere i 37 anni di contributi. I requisiti fissati da questo regime transitorio sono divenuti ancor più rigorosi in seguito a successive disposizioni (in particolate l'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449). La riforma Dini del 1995 ha inoltre esteso, dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale anche a categorie di lavoratori che fino a quella data ne erano prive (esempio i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e gli incaricati alla vendita a domicilio) e ha istituito presso l'INPS un'apposita “gestione separata” finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Quanto alla pensione di invalidità, essa è riconosciuta al lavoratore la cui capacità di guadagno in occupazioni confacenti alle sue attitudini sia ridotta in modo permanente, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, a meno di un terzo. Ai superstiti del lavoratore in attività che, al momento del decesso, abbia maturato i requisiti minimi per il diritto alla pensione di invalidità o di vecchiaia e ai superstiti del pensionato spetta la pensione di reversibilità. Il trattamento di reversibilità spetta al coniuge superstite (vedova o vedovo) dell'assicurato che abbia i requisiti della pensione Nei confronti dei suddetti superstiti non sorge il diritto alla pensione ove sia stata pronunciata la sentenza di separazione personale per colpa, o sentenza di divorzio passata in giudicato. Non sorge neppure il diritto alla pensione nel caso in cui il pensionato abbia contratto matrimonio dopo la decorrenza della pensione in età superiore ai 72 anni e il matrimonio sia durato meno di 2 anni. Rimane salvo, tuttavia, il diritto alla pensione se dal matrimonio sia nata prole – anche se postuma – o se la morte sia avvenuta per infortunio sul lavoro o malattia professionale o per causa di guerra o di servizio. Il trattamento di reversibilità spetta inoltre ai figli minorenni (ma in caso di frequenza scolastica o universitaria il limite di età è elevato per i figli che siano a carico, rispettivamente a 21 e 26 anni) e ai figli inabili e a carico del genitore, pur se maggiorenni; ai genitori ultrasessantacinquenni a carico dell'assicurato o del pensionato alla data del decesso di questi, che non siano titolari di pensione, sempre che non vi siano o non abbiano diritto alla pensione il coniuge o i figli; i fratelli celibi e le sorelle nubili, inabili al lavoro e a carico del defunto che non abbiano pensione propria, sempre che non sussista il titolo alla pensione in favore di categorie che hanno precedenza del diritto.

Diritto: i fondi pensione integrativi

La legge del 1995 ha apportato alcune modifiche al sistema previdenziale complementare (o integrativo) già introdotto nel nostro ordinamento con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 e con il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 che hanno previsto la costituzione di appositi “fondi pensione”, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale. L'effettivo avvio all'operatività dei fondi pensione è stato dato dalla legge finanziaria del 1998, con la quale è stato previsto che una quota dell'aliquota contributiva relativa agli accantonamenti per l'indennità di fine servizio fosse destinata, previo accordo con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, a forme di previdenza complementare. A fine di incentivo, il legislatore ha previsto anche sgravi fiscali per i lavoratori e i datori di lavoro che effettuino versamenti ai fondi pensione. I fondi pensione, sulla base del tipo di rendita che erogano, si possono suddividere in fondi a contribuzione definita e fondi a prestazione definita, l'adesione ai quali garantisce una prestazione finale predeterminata. Per questi ultimi la contribuzione che deve essere versata dovrà sempre adeguarsi in modo tale da raggiungere il livello di prestazione finale desiderato. I fondi a contribuzione definita prevedono all'atto dell'adesione la fissazione di un certo livello di contributi da versare, mentre la misura della prestazione finale è commisurata al rendimento degli investimenti effettuati dai gestori del fondo. In base alla categoria dei partecipanti, i fondi pensione possono distinguersi in fondi chiusi, ai quali possono aderire solo i lavoratori appartenenti a una certa categoria e la cui istituzione avviene sulla base di contratti o accordi di categoria, e in fondi aperti, ai quali possono aderire tutti i lavoratori che non dispongono di un fondo di categoria e sono gestiti da intermediari finanziari. I fondi pensione sono istituiti con atto pubblico e possono essere associazioni riconosciute o non. I fondi aperti possono essere costituiti esclusivamente da banche, società di intermediazione mobiliare, assicurazioni e società di gestione di fondi comuni di investimento, costituite sotto forma di società per azioni o in accomandita per azioni. Il regolamento sui fondi pensione, emanato con decreto del ministro del Tesoro del 14 gennaio 1997, n. 211, stabilisce l'iter procedurale per l'autorizzazione all'esercizio dell'attività dei fondi da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e per l'iscrizione all'albo dei fondi pensione, istituito presso la Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Questa commissione esercita poteri di supervisione in ordine alla tenuta dell'albo dei fondi pensione, all'approvazione degli statuti e dei regolamenti dei fondi pensione, al rilascio delle autorizzazioni, al controllo del rispetto dei criteri di ripartizione del rischio, alla definizione degli schemi tipo di contratto tra i fondi e i gestori, all'autorizzazione delle convenzioni per la gestione delle risorse, all'indicazione dei criteri per la tenuta delle scritture e per la determinazione del valore del patrimonio dei fondi e della loro redditività, alla fissazione dei criteri per comunicare agli iscritti l'andamento amministrativo e finanziario del fondo, al controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi.

Diritto: impiego civile e militare

La pensione per gli impiegati civili e militari dello Stato, ristrutturata in un nuovo Testo Unico approvato con D.P.R. n. 1092 del 28 dicembre 1973, è comune alle altre pensioni, pur con le dovute differenziazioni. La prima legge sulle pensioni statali è stata attuata in Italia nel 1864 e nel 1898 fu istituita una Cassa Nazionale di Previdenza per l'invalidità e vecchiaia degli operai che doveva trasformarsi (1935) nell'INPS. Il trattamento di quiescenza degli impiegati civili e militari dello Stato s'instaura al compimento del sessantacinquesimo anno di età per gli impiegati (uomini e donne) e per gli operai (uomini) e del sessantesimo anno di età per le operaie. Esso è: normale, privilegiato, direversibilità. Il primo spetta al dipendente che cessa dal servizio per raggiunti limiti di età, con almeno 15 anni di servizio effettivo. Se cessa dal servizio per dimissioni o altre cause indipendenti dal raggiungimento dei limiti di età, deve aver compiuto 20 anni di servizio effettivo. Dopo 15 anni di servizio, la pensione è pari al 35% della base pensionabile, col trascorrere degli anni può arrivare a un massimo dell'80%. Il trattamento privilegiato spetta al dipendente che abbia contratto infermità o lesioni dipendenti da fatti di servizio che abbiano determinato menomazioni dell'integrità personale che lo rendano inabile al servizio. In questi casi sono previste condizioni più favorevoli. Il trattamento di reversibilità spetta alla vedova del dipendente deceduto in attività di servizio dopo 20 anni di anzianità; il diritto decade se contro la vedova sia stata pronunciata sentenza, passata in giudicato, di separazione personale per sua colpa; in tal caso, dove sussista lo stato di bisogno, le è corrisposto un assegno alimentare. Numerose altre disposizioni prevedono assegni accessori. La legge prevede anche la riunione e ricongiunzione di servizi per il dipendente che abbia prestato, presso la stessa o presso diverse amministrazioni statali, servizi per i quali è previsto il trattamento di quiescenza a carico del bilancio dello Stato: la riunione dei servizi stessi comporta un unico trattamento di quiescenza sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme applicabili in relazione alla definitiva cessazione dal servizio.

Diritto: pensione di guerra

La pensione di guerra spetta ai militari delle forze armate e dei corpi ausiliari, alle infermiere della Croce Rossa, che abbiano subito una menomazione fisica o mentale conseguente al servizio in guerra o alla prigionia; ai civili e alle loro famiglie, se l'invalidità personale o la morte del congiunto sia derivata da azioni belliche. L'invalidità è suddivisa in otto categorie a partire da quella più grave e la pensione decresce dal primo all'ottavo grado; all'invalido di primo grado, oltre alla pensione, è riconosciuta anche un'indennità integrativa; questa spetta pure all'invalido che necessiti di un accompagnatore. L'indennità integrativa può essere continuativa ed è rinnovabile ogni otto anni previo accertamento medico del sussistere del grado d'invalidità, oppure può essere liquidata una tantum.

Diritto: rivalutazione della pensione

Per tutte le pensioni dell'INPS la legge n. 160 del 3 giugno 1975 ha perfezionato il meccanismo di rivalutazione delle pensioni, già introdotto dall'art. 19 della legge n. 153 del 30 aprile 1969. Agganciando le pensioni alla dinamica salariale, la legge ha disposto che le pensioni integrate al trattamento minimo si rivalutino trimestralmente sulla base degli indici di aumento delle retribuzioni minime degli operai dell'industria, mentre quelle superiori al minimo si incrementano delle quote fisse di contingenza, degli aumenti percentuali risultanti dalla differenza tra dinamica salariale e aumento del costo della vita. Successivamente il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 emanato in attuazione della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, al fine di garantire la salvaguardia del potere di acquisto dei beneficiari dei trattamenti pensionistici, ha agganciato gli adeguamenti degli importi delle pensioni alla percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, relativo all'anno che precede il mese di decorrenza dell'aumento, all'analogo valore medio relativo all'anno precedente. La perequazione delle pensioni ha perciò scadenza annuale.

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