postcomunismo

sm. [sec. XX; post-+comunismo]. L'insieme dei problemi posti dalla crisi dell'ideologia comunista e dal crollo della maggior parte dei regimi politici che a tale ideologia si ispiravano. L'abbattimento del Muro di Berlino, nel novembre 1989, viene convenzionalmente considerato come l'evento simbolo della concomitante fine della guerra fredda e dei regimi comunisti dell'Europa orientale. In realtà, segnali premonitori delle dinamiche disgregative che avrebbero interessato i regimi comunisti dell'Est si erano manifestati da tempo. Durante la leadershipdi Gorbačëv in Unione Sovietica, iniziata nel marzo 1985, si era già prodotta di fatto la secessione strisciante delle Repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, resesi formalmente indipendenti nel marzo 1990 e riconosciute dalla Federazione Russa l'anno successivo. Parallelamente, aveva conosciuto una forte accelerazione l'avvicinamento politico e diplomatico all'Occidente di Paesi centroeuropei, da tempo membri indocili della “famiglia” comunista, come la Cecoslovacchia e l'Ungheria. Ancora più clamoroso il caso della Polonia, che aveva già sperimentato la forma, inedita per i regimi comunisti classici, dei governi di coalizione nazionale aperti a forze e movimenti di dichiarata ispirazione anticomunista. Il postcomunismo si manifesta nell'area centrale dell'ex Stato guida, l'Unione Sovietica, con caratteri di elevata instabilità. La stessa Federazione Russa è scossa da conflitti politici, da rivendicazioni economiche, da tensioni interetniche che ne minacciano a più riprese l'unità e la governabilità. Il Paese è più volte sull'orlo della guerra civile, la transizione alle regole del gioco democratico mette in moto processi in larga misura imprevisti dalla politologia occidentale. È una sollevazione golpista che nell'agosto del 1991 minaccia la transizione al postcomunismo in Russia e provoca, comunque, il fallimento del tentativo di pilotare pacificamente e gradualisticamente il processo di trasformazione. Gorbačëv viene esautorato alla fine dell'anno, quando si apre la stagione della leadership personalistica di Boris Elcin. Le conseguenze sociali e finanziarie del passaggio a una forma spuria di economia di mercato generano un po' ovunque diffuso malcontento popolare. Con il crollo dei regimi socialisti, gli Stati successori costituitisi sulla base di una precedente riconoscibile identità linguistica, religiosa, etnica o culturale – la Polonia, l'Ungheria e, meno linearmente, la Romania, la Bulgaria e la stessa Albania – tenderanno a ricomporsi nel contenitore di un nuovo Stato-nazione i cui confini territoriali rimarranno quelli sanciti dalla seconda guerra mondiale. Deflagreranno, invece, realtà costruite artificiosamente dalla vecchie diplomazie e “congelate” dalla dominazione sovietica postbellica, come nel caso della separazione (pacifica) fra Repubblica ceca e Slovacchia (gennaio 1993) e in quello della disintegrazione (cruenta) della ex Iugoslavia. Il postcomunismo segna anche, conseguentemente, il riemergere di forti tensioni regionali, legate alle irrisolte questioni delle minoranze etniche o linguistiche (commistione fra comunità lituane e polacche nelle zone di frontiera fra i due Paesi, questione degli Ungheresi di Romania e di Slovacchia, degli Albanesi di Macedonia, dei Turchi di Bulgaria, per non parlare del complicato mosaico bosniaco).

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