pulsióne

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Lessico

sf. [sec. XVII; dall'inglese pulsion, che risale al latino pulsāre, battere, percuotere]. Spinta, impulso, ma solo in accezioni specifiche. § In psicologia, motivo che spinge un organismo all'azione, derivante in genere da uno squilibrio fisiologico, quale può essere causato dallo stato di fame, sete, carenza di ossigeno, ecc. La pulsione viene quindi considerata uno stimolo interno all'organismo, che pone questo in condizione di meglio rispondere a certe classi di stimoli. § In etologia, lo stesso che motivazione specifica. Accanto a pulsioni primarie, come la fame, la sete, ecc., vengono riconosciute pulsioni secondarie o acquisite, legate a un particolare cibo, bevanda, ecc. il cui gusto sia stato sperimentato e perciò appreso. Si ritiene in genere che la soddisfazione di una pulsione rinforzi la connessione fra lo stimolo e il rispettivo comportamento.

Psicanalisi

Processo dinamico consistente in una “spinta” (dal tedesco Trieb) che fa tendere l'organismo verso una meta. Nel quadro della prima teoria freudiana delle pulsioni, le pulsioni dell'Io, tendenti alla conservazione dell'individuo, sono in conflitto con quelle sessuali, tendenti alla conservazione della specie. Nell'opera Al di là del principio del piacere (1920) Freud mette invece in opposizione le pulsioni di vita (Eros), che comprendono sia le pulsioni sessuali sia quelle di autoconservazione, e le pulsioni di morte (Thanatos), che tendono alla riduzione completa delle tensioni, quindi a ricondurre l'essere vivente allo stato inorganico. Rivolte dapprima verso l'interno e tendenti all'autodistruzione, s'indirizzano successivamente verso l'esterno e si manifestano come pulsioni di aggressione o di distruzione.

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