Definizione

sm. [sec. XX; radio-+telescopio]. Complesso di strumenti destinati a ricevere, analizzare e misurare la radiazione a radiofrequenza proveniente dai corpi celesti e dallo spazio. Un radiotelescopio è composto da un'antenna, da un sistema di rivelazione e amplificazione, da un sistema elettronico di elaborazione e da un sistema di registrazione; nell'uso comune si è soliti indicare con radiotelescopio solo la parte più appariscente di un radiotelescopio, cioè l'antenna, il cui scopo è quello di raccogliere la maggior quantità possibile di radiazione, cosa particolarmente utile nel caso di sorgenti deboli, unitamente a un forte potere risolutivo, così da poter separare sorgenti vicine o poter localizzare il più esattamente possibile la posizione di una sorgente sulla volta celeste.

Antenne paraboloidi e radiointerferometri

Questi due requisiti sono soddisfatti al meglio in antenne paraboloidiche (o paraboloidi) di grandi dimensioni. Un paraboloide è usualmente composto da lamine o da una rete metallica le cui maglie sono più fitte di λ/8 e la cui superficie non si deve discostare più di λ/16 dalla superficie parabolica teorica, per evitare dispersioni o perdite di radiazione. Il potere risolutivo teorico di un paraboloide, espresso in radianti, è dato da θ=λ/D, in cui D è il diametro; ciò significa che a lunghezze d'onda metriche un paraboloide del diametro di 10 m possiede un potere risolutivo di ca. 6º: il Sole e la Luna, con un diametro apparente di ca. 0º,5 sarebbero visti da un tale radiotelescopio come oggetti puntiformi (per confronto, si ricordi che il potere risolutivo teorico dello specchio di 5 m del telescopio Hale di Monte Palomar è di 0‟,023). Nel fuoco del paraboloide è collocata un'antenna minore, a dipolo o a corno, che ha lo scopo di convogliare la radiazione verso il rivelatore. Un paraboloide può essere impiegato, in genere, per osservazioni su tutte le lunghezze d'onda della finestra radio, con la sola sostituzione dell'antenna focale. Raggiungere, mediante antenne singole, poteri risolutivi inferiori a quelli citati comporta la costruzione di antenne aventi diametri superiori a 100 m (600 m per l'antenna di Zelenčiukskaja, Russia). La ricerca di soluzioni alternative ha portato, a partire dalla metà del sec. XX, alla costruzione di radiotelescopi basati su principi interferometrici, detti anche radiointerferometri. Nella loro forma più semplice, questi sono composti da due antenne separate che inviano il rispettivo segnale a un unico ricevitore: se le due antenne, per esempio, sono collocate sulla direzione E-W e sono orientate nella direzione del meridiano, i rispettivi segnali, sommandosi nel ricevitore, daranno luogo a un unico segnale la cui intensità varia, a causa del moto di rotazione della Terra, tra 0 e un massimo, secondo che la differenza di cammino fra i due segnali in arrivo all'antenna sia un multiplo dispari o pari di λ/2. Dalle registrazioni è poi possibile osservare l'esatto istante del passaggio in meridiano della radiosorgente e quindi la sua ascensione retta: il potere risolutivo (in ascensione retta) del radiotelescopio è allora dato dal rapporto fra lunghezza d'onda e distanza fra le antenne. Se le antenne fossero collocate nella direzione N-S, si otterrebbe una maggiore precisione nella conoscenza della declinazione, anziché dall'ascensione retta della sorgente. Un esempio di interferometro radioastronomico ad antenne multiple è quello di Christiansen, a Sydney (Australia), composto da 32 paraboloidi del diametro di 1,7 m e allineati sulla direzione E-W per 200 m: il potere risolutivo di un paraboloide singolo è di ca. 7º, quello dell'intero sistema, di 3´ nell'ascensione retta e ancora di 7º in declinazione; il potere risolutivo è ottenuto aggiungendo altre 32 antenne uguali alle prime, ma allineate nella direzione N-S, ottenendo così il sistema denominato Chris Cross. Anziché antenne a paraboloide, si possono impiegare sistemi di antenne a dipolo, ancora disposti a croce, come nella croce di Mills (dal nome dell'ideatore) di Sydney.

I sistemi di antenne multiple

Un sistema di molte antenne presenta difficoltà nell'esatto orientamento, che deve essere simultaneo, nonché nel collegamento reciproco; poiché, d'altra parte, il potere risolutivo dipende dalla distanza fra gli elementi, risulta sufficiente impiegare due soli paraboloidi (o antenne di apertura equivalente), i quali possono simulare un paraboloide di dimensioni ben maggiori quando si muovano e compiano osservazioni simultanee su tutta l'area del paraboloide (sintesi di apertura). Il confronto delle osservazioni deve avvenire quindi attraverso un elaboratore elettronico. Un interferometro radio convenzionale utilizza un cavo coassiale a collegamento delle antenne che si trovano disposte lungo la base. Quando quest'ultima diviene molto elevata (VLBI, Very Large Baseline Interferometry, interferometria su lunghissima base) ciò non è più possibile: i vari radiotelescopi vengono allora interconnessi, mediante ponte radio a microonde, a un sistema elettronico costituito da un oscillatore, un miscelatore e un correlatore di fase. Se poi le varie antenne non si trovano in visuale reciproca, i segnali in radiofrequenza vengono registrati separatamente per essere poi trasportati a un correlatore comune che – prima di effettuarne la ricostruzione – provvede al necessario confronto delle fasi, in relazione alle relative località di ricezione. La necessità di aumentare ulteriormente il potere risolutivo ha portato ad aumentare anche la linea di base degli interferometri. Esperimenti condotti a partire dal 1968 hanno coinvolto strumenti e ricercatori di differenti nazioni: la linea di base è stata portata a oltre 10.000 km impiegando un ricevitore in Australia e l'altro negli Stati Uniti. Collegamenti istituiti nel 1987 per l'avvio di una cooperazione internazionale fra 18 paesi (fra cui Russia, Svezia, Canada, Gran Bretagna) atta a consentire ricerche di VLBI su lunghezze d'onda comprese fra 92 cm e 3,6 mm, sono riusciti a raggiungere – mediante accoppiamenti diversi delle singole installazioni – poteri risolutivi pari a 0,003‟ d'arco, molto più spinti di quelli forniti dai maggiori telescopi ottici. Il sistema interferometrico internazionale è funzionante su due grandi reti, una europea, l'altra americana; utilizza anche antenne situate nel Pacifico (Hawaii) e nell'Atlantico (Isole Vergini). Sono stati utilizzati anche satelliti per radioastronomia in orbita. A livelli spinti di risoluzione, le tecniche di VLBI presentano interesse anche per la geodinamica: la precisione delle osservazioni consente, infatti, di porre in evidenza quegli spostamenti relativi fra le installazioni che sono dovuti ai movimenti delle placche tettoniche della crosta terrestre. Nei radiotelescopi le antenne singole sono in genere mobili, analogamente a un telescopio ottico, così da poter puntare verso qualunque direzione del cielo; dato il loro grande peso (fino a parecchie centinaia di tonnellate il solo paraboloide), sono supportate da montature altazimutali. Le antenne maggiori e le “croci” sono invece fisse, o al più mobili unicamente nel piano del meridiano. Ciascuna antenna è collegata tramite cavo a un ricevitore, nel quale il segnale a radiofrequenza viene trasformato in segnale a frequenza minore e poi amplificato; il ricevitore seleziona inoltre la banda di frequenze scelta e sopprime le altre. Il ricevitore funziona quindi come una lastra fotografica con filtro: come questa, particolarmente nel caso di sorgenti deboli, presenta il fenomeno del rumore di fondo che consiste nel fatto che il ricevitore emette un segnale anche quando l'antenna è puntata verso una zona di cielo completamente priva di sorgenti, con intensità tale da mascherare le sorgenti (per esempio, un ricevitore a triodi ha a 200 MHz un rumore di fondo di ca. 1000 K, mentre il fondo del cielo, alla stessa frequenza è di soli 100 K). Il problema è stato in parte superato, sia mediante il confronto di parecchie osservazioni sia mediante l'adozione di tecnologie più raffinate (amplificatori parametrici, circuiti integrati e simili).

I più grandi radiotelescopi e radiointerferometri

Tra gli anni Settanta e Ottanta, lo sviluppo degli elaboratori elettronici e la fecondità degli studi e delle scoperte in astrofisica e in cosmologia hanno incentivato e reso possibile la costruzione di radiotelescopi e radiointerferometri di dimensioni colossali. Il 12 aprile 2000 è stata ultimata la costruzione, a cura del National Radio Astronomy Observatory (NRAO), del nuovo Green Bank Telescope (GBT) sorto nello stesso sito del vecchio GBT la cui struttura era disastrosamente collassata nel 1988. Le dimensioni, 100x110 metri, lo rendono il più grande radiotelescopio mobile del mondo. Le più rilevanti caratteristiche sono la particolare disposizione dei ricevitori, che essendo posti lateralmente consentono di sfruttare completamente l'apertura del telescopio e l'esistenza di numerosi attuatori (pistoncini) meccanici che sostengono e correggono la forma della pesante struttura del paraboloide. Oltre al GBT, tra i più grandi telescopi a paraboloide completamente orientabile vi sono: il radiotelescopio di Effelsberg, in Germania, con paraboloide di 100 m; il radiotelescopio da 76 m, di Jodrell Bank, in Gran Bretagna; i radiotelescopi da 70 m di Evpatoria (Russia), di Goldstone (USA), di Madrid e di Tidbindilla (Australia); i radiotelescopi da 64 m di Bear Lakes (Russia), di Kalyazin (Russia) e di Parkes (Australia). Un grande radiotelescopio a parabola fissa, ma parzialmente orientabile attraverso lo specchio secondario, è il radiotelescopio di Arecibo (Portorico) da 305 m di diametro. Il più grande del mondo, a parabola fissa, ma inseribile in rete interferometrica con altri radiotelescopi a terra e nello spazio, è il radiotelescopio RATAN 600 di Zelenciukskaja, nel Caucaso (Russia). Tra gli altri strumenti radioastronomici, uno dei più importanti resta il radiointerferometro Very Large Array (VLA) di Socorro (Nuovo Messico, USA), entrato in funzione nel 1980. Esso è costituito da 27 antenne paraboliche del diametro di 26 m ciascuna, disposte lungo 3 bracci, ciascuno lungo 21 km, a formare una gigantesca Y. Il VLA è utilizzato per lo studio delle radiosorgenti celesti (quasar, pulsar, bulbi di galassie, radiogalassie, galassie attive, mezzo interstellare, aloni galattici ecc.). Il VLA può funzionare come antenna radar multipla e quindi è utilizzato anche in radarastronomia. A seconda delle necessità e dei programmi si ricerca, il VLA – come pure il GBT e gli altri grandi radiotelescopi a parabola fissa – può essere inserito nelle grandi reti statunitensi e mondiali di interferometria. Nel 1993 è stato ufficialmente inaugurato il Very Long Baseline Array (VLBA), una rete di 10 radiotelescopi di 25 metri di diametro distribuiti sull'intero territorio degli Stati Uniti, che, grazie soprattutto alla qualità e all'omogeneità dei telescopi che lo costituiscono, permette di raggiungere una risoluzione sino al millesimo di secondo d'arco. Su base estesa dai Caraibi alle Hawaii, il VLBA effettua anche ricerche in banda millimetrica sulla dinamica e composizione delle formazioni protostellari e protoplanetarie, su quella dei venti stellari e della materia diffusa. È inoltre disponibile anche un'altra rete con antenne di 27 m ciascuna ripartite fra le isole Vergini e le Hawaii allo scopo di sondare il cielo in banda millimetrica-decametrica, finalizzata principalmente alla ricerca di una classe peculiare di galassie attive, la galassie Markarian. In fase continua di miglioramento è, poi, il Very Long Base Interferometry (VLBI) la rete mondiale di radiotelescopi che sfrutta anche antenne poste su satellite, come il giapponese HALCA (Highly Advanced Laboratory for Communications and Astronomy), posto in orbita nel febbraio del 1997, o il satellite russo RadioAstron (in funzione dal 2007), che porterà su un'orbita ellittica di 80.000 km di distanza media un radiotelescopio di 10 m di diametro. Con base estesa dalla Terra allo spazio, il VLBI si è collegato con il radiotelescopio di 8 m di diametro di HALCA nell'ambito del programma VLBI Space Observatory Programme (VSOP). La base per l'interferometria VLBI è stata così estesa a circa 30.000 km, più di due volte il diametro della Terra. VSOP è in grado di risolvere dettagli di alcuni millesimi di secondo d'arco, cioè oggetti dell'ordine dell'anno luce, alla distanza di varie galassie, e di eseguire misure sui diametri stellari. Tra i grandi piani della radioastronomia della prima metà del sec. XXI si colloca invece il progetto ALMA (Atacama Large Millimeter Array), una collaborazione europea (ESO) e statunitense (NSF e NRAO), che provvede all'installazione, nel deserto di Atacama in Cile, di 64 antenne del diametro di 12 metri disposte lungo una circonferenza di 5 km di raggio. Le possibilità offerte dalla nascita di questa nuova finestra nel campo delle onde millimetriche coinvolgono l'osservazione dell'interno delle regioni di formazione stellare e l'analisi dell'emissione di molte molecole, sia nell'ambito di studi cosmologici, sia dello studio delle atmosfere planetarie e cometarie. Dedicato al rilevamento delle nubi primordiali di idrogeno è invece il GMRT (Giant Metric Radio Telescope) in funzione presso Pune, in India. Il GMRT è un radiotelescopio gigante per onde metriche, costituito da 30 antenne di 45 m di diametro ciascuna. La scelta delle lunghezze d'onda di osservazione intorno al metro è dovuta al fatto che in questa zona interessantissima dello spettro delle onde radio, al contrario delle altre zone del mondo, in India ci sono poche interferenze. Di concezione diversa è l'olandese WSRT (Westerbork Synthesis Radio Telescope Array), una schiera lunga 3 km di 14 radiotelescopi con parabole di 25 m di diametro disposti lungo una direttrice est-ovest. La rotazione della Terra produce un mutamento costante dell'orientamento dei telescopi della schiera in modo da sintetizzare un'antenna del diametro di 3 chilometri. L'immagine si ottiene con la registrazione delle scansioni dell'oggetto osservato effettuate nell'arco di 12 ore.

Radiotelescopi italiani

In Italia è presente a Medicina (Bologna), dall'inizio degli anni Sessanta del Novecento, un radiotelescopio di transito, in grado di ricevere solamente le sorgenti di radiofrequenza che passano sopra di lui. Inoltre sono in funzione 3 grandi radiotelescopi a parabola, dei quali due sono gemelli e hanno un paraboloide del diametro di 32 m; sono situati, rispettivamente, a Medicina (nella stessa area in cui si trova il radiotelescopio di transito), e a Noto, in Sicilia. Il terzo, più piccolo, con antenna di 20 m, si trova a Matera. Un quarto radiotelescopio, con parabola di 64 m, e quindi tra i più grandi del mondo, denominato Sardinia Radio Telescope (SRT), è in costruzione presso Cagliari. Il SRT è l'elemento fondamentale di un progetto altamente innovativo dell'Istituto di Radioastronomia (IRA) di Bologna, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). L'antenna è completamente orientabile e può operare con grande versatilità in tutta la banda di frequenze tra 0,3 e 100 GHz. La versatilità è garantita dai diversi dispositivi di rivelazione che si trovano in prossimità del fuoco primario e che consentono osservazioni alle frequenze comprese tra 5 e 100 GHz. Dotato di un'ottica gregoriana e di uno specchio secondario di 7,9 m di diametro, il SRT può operare ad altre 4 lunghezze focali. Il SRT può essere inserito in rete con gli altri 3 radiotelescopi italiani a formare la rete interferometrica italiana, parte della rete VLBI internazionale.

Bibliografia

J. G. Bolton, Radiotelescopes, in “Astronomical Techniques”, Chicago, 1960; A. R. Giddis, Reflector Antennas for Radio and Radar Astronomy, Palo Alto, 1961; W. N. Christiansen, J. A. Högborn, Radiotelescopes, Cambridge, 1969; S. Bailey, Radiotelescopes Today, Londra, 1981.

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