rigidézza

sf. [sec. XIV; da rigido]. Qualità, condizione di ciò che è rigido, specialmente in senso estensivo e fig.: la rigidezza del clima; la rigidezza della regola monastica. In senso proprio si usa per lo più in accezioni tecniche: A) proprietà caratteristica dei materiali consistente in una scarsa o irrilevante elasticità; solitamente non si misura la rigidezza dei materiali, ma la loro elasticità. B) In meccanica, per un corpo solido, il rapporto tra lo sforzo applicato e la deformazione ottenuta, in relazione alle caratteristiche geometriche della sezione del solido, dalla natura del materiale e dal tipo di sollecitazione; per un organo elastico, in particolare per una molla, è il rapporto tra carico e deformazione; è l'inverso della capacità meccanica o cedevolezza. C) Requisito delle giunzioni (nodi) di un sistema o di una travatura reticolare, necessario per garantire la non deformabilità dell'insieme. Le strutture a nodi rigidi (chiodati, bullonati, saldati), aumentando la rigidezza dell'insieme, impediscono il libero deformarsi delle aste, con conseguente insorgere di tensioni di flessione che debbono essere contenute entro limiti prefissati. Nei nodi, infatti, per la concorrenza delle tensioni principali tra loro equilibrantisi, si determinano forti concentrazioni degli sforzi, tanto maggiori in quanto la sezione resistente, proprio per difetti di giunzione, non è mai sfruttata integralmente (con una saldatura di testa perfettamente eseguita si arriva a impegnare l'85% della sezione da collegare). Si dice modulo di rigidezza la caratteristica di un elemento strutturale, dipendente dalla sua sezione e dal materiale impiegato.

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