rivoluzione dei tulipani

Con questo termine si indica la rivolta popolare (nota anche come "prima rivoluzione del Kirghizistan") che nel 2005 ha rovesciato il presidente Askar Akayev, facente parte del più ampio fenomeno delle rivoluzioni colorate, simili e correlate, scoppiate nei Paesi di influenza sovietica a partire dal 2005. Le elezioni del febbraio-marzo di quell’anno avevano portato a una nuova vittoria delle forze di Akayev, al potere ininterrottamente dal 1990. Le opposizioni, come già avvenuto per le amministrative del 2002, contestarono il risultato denunciando brogli e intimidazioni e invitarono i cittadini a scendere in piazza. Scioperi e manifestazioni iniziate nel sud del Paese rapidamente raggiunsero la capitale Biškek. In marzo Akayev fu costretto a lasciare il Kirghizistan e rifugiarsi in Russia, da dove in aprile rassegnò le dimissioni. Il potere fu assunto da Kurmanbek Bakiev (già primo ministro tra il 2000 e il 2002 e collaboratore di Akayev). Gli osservatori OCSE rilevarono come, nonostante i progressi, anche in queste elezioni che videro Bakiev vincere con l’88% delle preferenze non fossero mancate irregolarità. Il nuovo governo, permanendo su posizioni politiche filorusse, non mantenne le promesse di riforme istituzionali e politiche e di moralizzazione della vita pubblica. Nel 2006 la popolazione tornò a manifestare chiedendo una più dura lotta alla corruzione e una riforma costituzionale che limitasse le prerogative del presidente in favore del Parlamento. Le tensioni nel governo portarono alle dimissioni del primo ministro Kulov che passò all’opposizione. Nonostante il clima politico teso, Bakiev riconquistò la maggioranza in Parlamento nelle elezioni del 2007 e, sebbene venisse in seguito accusato di frode elettorale, riuscì a farsi rieleggere anche nel 2009. Solamente a seguito di un'azione di forza dell’opposizione nel 2010, Bakiev si dimise lasciando il Kirghizistan. Alcuni osservatori hanno rilevato come il parziale fallimento della rivoluzione dei tulipani debba esser ricondotto all’assenza di un sentimento anti-russo nella popolazione e allo stretto legame dell’economia kirghiza con quella di Mosca, fattori che hanno impedito all’Occidente di effettuare efficaci pressioni sulla vita politica del Paese.

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