Lessico

sm. [sec. XIV; dal latino symbŏlum, dal greco sýmbolon, propriamente, contrassegno, da symbállō, accostare, far combaciare].

1) Qualunque oggetto, ente, figura, segno che rappresenti un concetto o un'idea non corrispondenti all'immediato aspetto sensibile, per effetto di una relazione tradizionalmente accettata o concordemente stabilita: l'olivo è il simbolo della pace; durante il Risorgimento il tricolore divenne il simbolo dell'unità nazionale. Per estensione, emblema: la tiara è il simbolo della dignità papale. In particolare, segno convenzionale assunto a rappresentare un'idea, una religione, un partito e simili: la croce è il simbolo del cristianesimo.

2) In psicologia, ogni oggetto, evento o attività che rappresenta un altro oggetto, evento o attività, e che può essere utilizzato, a livello di pensiero, in sostituzione di questo.

3) Segno grafico convenzionale, nella gran parte dei casi unificato in sede nazionale o internazionale, che indica un ente, una relazione o un'operazione matematica o di logica matematica; una grandezza fisica o l'unità di misura di essa; un elemento chimico, la formula di un composto o il segno grafico che rappresenta una reazione chimica; un determinato corpo celeste; un componente di circuito elettrico, elettronico, radiotelefonico; un componente di impianto, dispositivo, macchina; uno strumento di misura; e, in informatica, un carattere o insieme di caratteri adottato convenzionalmente per rappresentare un dato, una relazione, un'operazione, un procedimento, un'istruzione, una quantità, un flusso di informazioni.

4) In numismatica, piccola raffigurazione posta nel campo monetale e di importanza secondaria rispetto al tipo principale. Il simbolo può essere importante per la classificazione di una serie; talora, come sulle più antiche emissioni romane repubblicane, esso indica il magistrato monetario che ha coniato la moneta.

5) Simbolo apostolico, antica professione di fede, di cui si hanno tracce già in Ireneo e Tertulliano nel sec. II. È una sintesi semplice e breve della fede professata dal cristiano, quasi una tessera di riconoscimento. Nella forma attuale compare nella Francia meridionale nei sec. V-VI ed è lo stesso che si trova, salvo qualche variante insignificante, in greco in una lettera del vescovo Marcello di Ancira a papa Giulio I (337-338). La tradizione lo fa derivare dagli apostoli, che lo avrebbero composto prima di separarsi. Fin dall'antichità fu usato come formula di professione di fede nel battesimo. Usato anche nelle locuzioni simbolo atanasiano e niceno-costantinopolitano

Filosofia

In generale, l'adattabilità di un elemento, assunto come segno di riconoscimento, a un complesso di elementi cui è legato da un rapporto di riferibilità. In senso più stretto, ogni elemento di un sistema di segni: il simbolo, che per sua natura è sempre sensibile, può così riferirsi anche a realtà apprendibili dall'intelletto e a cui esso rimanda e ha in questo l'importante funzione di rendere intuitivo, attraverso l'immagine, ciò che altrimenti potrebbe essere colto solo in modo astratto. Di qui la disputa tra coloro che sostengono l'analogia essenziale del simbolo con ciò cui esso viene riferito e chi invece afferma la convenzionalità del riferimento. Importante è poi il ricorso al simbolo nell'arte: basti pensare all'allegoria, che è un processo simbolico particolarmente complesso. Nel pensiero contemporaneo, il neopositivismo logico vede nel simbolo l'oggetto proprio della scienza.

Logica

In logica matematica, spesso sin. di segno, cioè insieme di grafemi appartenente a un dato linguaggio la cui aggregazione avviene secondo determinate regole, esplicitate o no. Di norma però in logica si parla di simboli quando in un determinato linguaggio, formalizzato o no, si introducono particolari segni grafici quali nomi di determinati oggetti. Il ruolo dei simboli è in genere accuratamente descritto e precisato. L'introduzione di simboli è dovuta alla necessità di semplificare e di abbreviare l'esposizione e di evitare ambiguità, oltre al fatto di essere più facilmente manipolabili. Secondo il tipo di oggetto da essi designato, i simboli possono essere sintattici, semantici, metateorici e così via. Al fine di evitare confusione tra simboli che appartengono a un linguaggio oggetto, ma che vengono usati nel linguaggio dell'osservatore (metalinguaggio), si suole convenire di usare quel simbolo come nome di se stesso, in modo autonomo. Si parla di simboli completi quando denotano un oggetto determinato, vale a dire non contengono variabili, in caso contrario di simboli incompleti. Simboli propri sono quelli che denotano termini categorematici, impropri quelli che denotano termini sincategorematici.

Religioni

Nella fenomenologia storico-religiosa, qualcosa che da un piano di realtà rinvia ad altra cosa appartenente a un altro piano, sottintendendo un'equivalenza metafisica tra le due (o più) cose messe in relazione simbolica. È evidente che in tal modo la concezione religiosa supera la distinzione tra “segno” e “significato”, necessaria quando si considera il simbolo-segno in funzione di una semplice comunicazione. Tanto che si è parlato di “partecipazione mistica” (L. Lévy-Bruhl), come di un modo di porre simboli vivendo e facendo vivere una realtà integrata a tutti i livelli possibili, che sarebbe tipica dell'esperienza religiosa. D'altra parte proprio l'idea di un oggetto religioso sperimentale, ma non comunicabile, ha portato a considerare il simbolismo come un superlinguaggio creato per supplire all'inadeguatezza del linguaggio con cui avvengono le comunicazioni profane (R. Otto). Su questa linea si muove la scuola fenomenologica per la quale il simbolo rappresenta “fenomenicamente”, e in modo comunicabile, una realtà “noumenica”, di per sé inconoscibile (anche se sperimentabile) e non comunicabile. In tutt'altro modo recuperano la funzione comunicante del simbolo religioso sia la scuola sociologica francese (da E. Durkheim in poi) sia la scuola funzionalista anglosassone (da B. Malinowski in poi): entrambe, sia pure con distinte problematiche, scorgono in esso un prodotto culturale atto a comunicare valori anziché concetti.

Bibliografia

C. G. Jung, Symbolik des Geistes, Zurigo, 1949; R. May, Symbolism in Religion and Literature, New York, 1960; C. Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Parigi, 1962; G. de Champeaux, S. Sterks, Introduction au monde des symboles, Ginevra, 1966; V. Turner, The Forest of the Symbols, Cornell, 1967; W. L. Rowe, Religious Symbols and God, Chicago, 1968; O. Beigbeder, Lexique des symboles, Ginevra, 1969; D. Sperber, Le symbolisme en général, Parigi, 1974; F. Guerrieri, Dal caos al cosmo. Il linguaggio dei simboli, Siena, 1991.

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