Lessico

sm. [sec. XIII; latino signum].

1) Ogni indizio o accenno sensibile che serva a trarre deduzioni, conoscere riguardo a qualcosa di latente: queste nuvole sono segno di pioggia; il ferito non dava più segno di vita; buon segno, cattivo segno, indizio che fa pensare a uno sviluppo favorevole o sfavorevole di una situazione; è segno che, vuol dire, significa che: se non è venuto è segno che non stava bene. In particolare, sintomo di una condizione clinica. Anticamente, campione di urina da analizzare.

2) Atto, gesto, cenno con cui si fa conoscere ad altri il proprio pensiero, la propria volontà o una certa realtà: mi fece segno di fermarmi, di non parlare; dare segno di soddisfazione, di impazienza; in, come segno di, come prova, manifestazione di un certo sentimento; segno della croce, vedi croce. Per estensione, segnale: il segno della partenza.

3) Figura schematica, disegno, rappresentazione grafica che si usa convenzionalmente per esprimere un'idea, un concetto, un'operazione: il segno dell'addizione, della divisione; segno di croce, quello usato dagli analfabeti in luogo della firma. In particolare: A) Nella stampa: segni alfabetici, tutte le lettere alfabetiche, i numeri, i segni ortografici, diacritici, d'interpunzione ecc.; segni di correzione, quelli convenzionali (unificati da norme UNI) che nelle bozze di stampa indicano le correzioni da apportare alla composizione tipografica. B) Nella segnaletica orizzontale, scritta o simbolo tracciato sul manto stradale.

4) Fig.: raccontare per filo e per segno, con tutti i particolari, punto per punto. Per estensione, valore astratto, simbolo: la bandiera bianca è segno di resa.

5) Traccia visibile, impronta lasciata da qualche cosa: fare un segno col gesso; il segno della ferita; l'orologio ti ha lasciato il segno sul polso. In particolare, orma: i segni dei piedi sulla neve. Fig., vestigio, testimonianza, ricordo: resti che sono segno dell'antica grandezza; lasciare il segno, essere difficile da dimenticare, produrre gravi conseguenze. Per estensione, elemento caratteristico, contrassegno: segni particolari di una persona, caratteristiche fisiche che permettono di individuarla; segno distintivo di un prodotto, marchio di fabbrica.

6) Indicazione grafica o altro che si usa per ricordare il punto in cui si è arrivati in un'azione progressiva, in particolare nella lettura: mettere un segno dove si è seminato; lasciare un foglio per segno nel libro; tenere, perdere il segno, seguire o non seguire sul libro la lettura fatta da altri. Fig., limite, grado massimo: passare il segno; a segno, a freno, a posto, entro giusti limiti; a (tal)segno che, tanto che.

7) Punto a cui si mira, bersaglio: mirare al segno; tiro a segno, vedi tiro. Spesso fig.: cogliere, colpire nel segno, intendere nel senso giusto o anche ottenere l'effetto desiderato; essere fatto segno, essere oggetto: essere fatto segno di severe critiche; in particolare, fine, scopo: “I' rivolsi i pensier tutti ad un segno” (F. Petrarca).

8) Antico e lett., immagine, effigie; insegna.

Medicina: diagnostica

In diagnostica, segno clinico, elemento obiettivo derivante da anomalie organiche o funzionali degli organi, in seguito all'instaurarsi di condizioni patologiche. I segni clinici sono molteplici, alcuni caratteristici di una determinata malattia (per esempio le macchie di Koplik del morbillo), altri definibili solo con un'analisi differenziale o di laboratorio. In particolare: segno di Lasègue, quello che si osserva nella nevralgia sciatica per cui a paziente supino la flessione della coscia sul bacino, effettuata con la gamba estesa, provoca un vivo dolore, riferito alla superficie posteriore dell'arto; l'insorgenza del dolore attribuita allo stiramento del nervo sciatico è prevenuta o estinta dalla flessione del ginocchio; segno del ballottamento rotuleo, quello che esprime la sensazione che viene percepita nei casi di versamento sinoviale nell'articolazione del ginocchio quando si esercita una pressione intermittente a piccoli intervalli sulla rotula.

Psicologia

In psicologia, segno locale, espressione coniata dallo psicologo tedesco H. Lotze per indicare le caratteristiche spaziali di una sensazione cutanea o visiva che consentono di differenziarla da un'altra sensazione per il resto identica alla prima.

Matematica

In matematica, ciascun simbolo usato nelle varie operazioni; si hanno il segno più (+) per l'addizione, il segno meno (-) per la sottrazione, il segno per (× o ·) per la moltiplicazione, il segno diviso (: o ÷) per la divisione, il segno √ per la radice quadrata ecc. In algebra, il segno - indica anche l'apposto di un elemento. Altri segni usati in matematica sono per esempio il segno di maggiore (>), di minore (<), di integrale (ʃ), di derivata parziale (∂) ecc. Per la regola dei segni di Cartesio, vedi Cartesio.

Topografia

In topografia, segno convenzionale, segno grafico utilizzato per rappresentare sulle carte particolari del terreno altrimenti non rappresentabili in proiezione o per la dimensione o per la complessità del particolare topografico. Nella cartografia ufficiale dello Stato vengono seguite le norme per l'uso dei segni convenzionali redatte dall'Istituto geografico militare per ciascuna carta prodotta. Ogni nazione adotta i propri segni convenzionali che, anche se simili, sono pur sempre graficamente diversi.

Tecnica

Nella tecnica, il segno grafico è un simbolo che indica un componente o una parte di impianto elettrico. I segni grafici consentono di rappresentare in modo sintetico i circuiti elettrici. Per quanto sia attivo lo sforzo per unificare a livello internazionale il significato di tali segni, l'unificazione non può dirsi totalmente raggiunta; inoltre, per ragioni tecniche, anche all'interno di tale unificazione, si usano simbologie diverse per gli schemi di impianti diversi. Il segno (o simbolo) di lavorazione è un segno convenzionale utilizzato per indicare sui disegni tecnici lo stato di finitura superficiale desiderato.

Filosofia

In senso generale, la parola è riferita a qualsiasi accadimento e oggetto materiale o astratto che ne richiama un altro. In questa accezione, molto vicina al senso comune, viene generalmente inteso il segno nell'ambito del pensiero antico. Gli stoici elaborarono una concezione del segno più precisa, intendendolo come rivelatore di qualche cosa che non si può mai conoscere direttamente o che sfugge momentaneamente alla percezione (segni indicativi e rammemorativi). A esso attribuirono la natura astratta di un ente di pensiero, in opposizione agli epicurei che gli riconoscevano natura sensibile. Uno dei problemi caratteristici sia del pensiero antico sia di quello moderno concerne il rapporto tra il segno e l'oggetto o evento rappresentato. Secondo G. di Ockham, si deve distinguere il segno naturale, che si origina dalle cose, dal segno arbitrario, che è frutto di convenzione. Secondo la logica mentalistica di Port-Royal, il segno linguistico è espressione dell'attività del pensiero. I. Kant distingue le parole e i segni matematici dai simboli, intendendo i primi come rappresentanti di concetti del pensiero e gli altri come rappresentanti di oggetti o eventi a essi legati per similitudine. Nel pensiero contemporaneo, la problematica intorno alla natura e all'uso dei segni è affrontata in modo più rigoroso dalla semiotica, distinta da C. Morris in tre branche: la sintassi, che studia i rapporti e le leggi di combinazione dei segni; la semantica, che si occupa della relazione tra i segni e ciò che rappresentano; la pragmatica, che ha per oggetto le modalità d'uso dei segni. Prima di Morris, già C. S. Peirce intendeva il segno come il frutto di una relazione multipla tra il segno stesso, l'oggetto rappresentato e l'utente del segno. Tenendo presenti queste relazioni, C. K. Ogden e I. A. Richards nell'opera The Meaning of Meaning (1923) hanno spiegato l'emergere del significato dall'azione pratica del riferimento, che consiste nella messa in relazione, da parte di un soggetto, di un simbolo (parola) e di un referente (oggetto). In questo modo viene definitivamente abbandonata la concezione della natura speculare del segno, mettendo in luce come il rapporto semantico sia mediato dall'atto del rappresentare nel quale intervengono in gran numero variabili individuali, non oggettivabili e attribuibili alla personalità e all'esperienza di colui che rappresenta. Tenendo conto di ciò, i semiologi contemporanei hanno operato una distinzione, nell'ambito del segno, tra due aree distinte e interagenti, indicate da coppie di sinonimi contrapposti: denotativo-connotativo, referenziale-emotivo, senso-significato. L. S. Vygotskij propone una distinzione per cui il senso è l'insieme delle aree di esperienza risvegliate in noi dal segno, il significato è quella tra queste che ricorre nel modo più costante. Più lontana da queste considerazioni pragmatiche e semantiche è la semiologia strutturalistica che prende l'avvio da F. de Saussure all'inizio del Novecento del secolo scorso, la quale privilegia senz'altro l'analisi sintattica o “sincronica” a scapito di quella semantica o “diacronica” e pragmatica. Essa tende anzi a risolvere le analisi semantiche, e quindi il problema dell'emergere del significato, attraverso una considerazione delle leggi di combinazione strutturale dei segni. Il segno è infatti, secondo la definizione di Saussure, “la combinazione del concetto e dell'immagine acustica” cioè, per usare una terminologia saussuriana più tecnica, “l'associazione di un significante a un significato”. Connotazione di questa combinazione o associazione è, sempre secondo Saussure, l'arbitrarietà.

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