sciìta

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Definizione

sm. e f. (pl. m. -i) [dall'inglese Shiite, dall'arabo šīʽ at 'Ali, fazione di 'Ali]. Nome dato ai seguaci di diverse sette islamiche, tutte sostenitrici del diritto di ʽAlī(cugino e genero di Maometto) al califfato. Dopo la morte del profeta, infatti, ʽAlī aveva sostenuto il suo diritto alla successione, ma il potere era già in mano agli “amici del Profeta” e l'energico Abū Bakr seppe approfittarne, diventando califfo dopo l'omaggio dei Banū Sāʽida. ʽAlī continuò a rivendicare i suoi diritti, ma con la morte di Fāṭima riconobbe l'autorità di Abū Bakr. Dopo l'assassinio del califfo Osman, ʽAlī fu riconosciuto nuovo califfo dagli abitanti di Kufa, ma ebbe di fronte diversi avversari e prima che potesse sbaragliarli fu ucciso da un karigita (661). L'uccisione del loro capo acuì nei suoi seguaci l'impegno a continuarne l'opera: essi rivendicarono il diritto alla successione per i suoi discendenti, rivestendo la loro rivendicazione di motivi religiosi fino ad affermare che “chiunque muoia senza aver conosciuto il vero imām del suo tempo, fa la morte di un infedele”. Col tempo la setta sciita andò spogliandosi sempre più degli aspetti politico-dinastici, per purificarsi in una progressiva caratterizzazione religiosa che divenne una vera ideologia. Contribuirono a questa trasformazione anche i continui rovesci politici a cui la setta andò incontro (degli Alidi, i discendenti dei figli delle dieci mogli di ʽAlī, nessuno divenne imām, subirono persecuzioni dagli Omayyadi e dagli Abbasidi, molti caddero assassinati, altri sacrificarono la vita in impossibili insurrezioni). Relegati a ruolo di minoranza nel mondo islamico, solo dagli inizi del sec. XVI cominciarono una robusta diffusione, favorita dalla dinastia dei Savafidi che scelse la Sh'ia come unica fede. Storicamente molto forti tra i persiani dell'Irak e i turchi dell'Azerbaigian, dove incarnavano il fondamentalismo islamico, la loro influenza si estese anche alla Siria e al Libano. In questo Paese soprattutto nell'ultimo scorcio del sec. XX la loro falange armata Amal (alleata dei palestinesi) fu protagonista di scontri e vere e proprie guerre civili (1975-1991) con sunniti e drusi (anch'essi nati da uno scisma all'interno dell'islam sciita).

Religione

L'imām era venerato come un intermediario di salvezza, una manifestazione di Dio (teofania) e l'elemento divino che in lui agiva non si disperdeva con la sua morte ma si trasmetteva intatto al nuovo imām. Proiettata in una visione escatologica, la dottrina sciita parla di un imām “nascosto”, il Mahdī, che verrà alla fine dei tempi per ristabilire l'ordine turbato dal califfato. È ormai chiara nel movimento la contrapposizione tra imām e califfo: il primo era fedele custode di tutto il retaggio religioso del Profeta e quindi aveva tutti i titoli per dirigere il mondo musulmano nell'ambito religioso e politico; il secondo rappresentava l'immissione nel contesto islamico di pratiche politiche violente e una decadenza dei valori religiosi, quindi non poteva pretendere di dirigere i fedeli musulmani. Questa posizione di rigida ortodossia causò agli sciiti persecuzioni continue, per cui dovettero usare molta precauzione (taqiyya) e mimetizzarsi per poter convivere con gli altri gruppi islamici. Duri invece furono con i seguaci di religioni diverse, negando ogni commistione nei principi religiosi e specialmente non permettendo matrimoni misti. Anche nel calendario liturgico gli sciiti, accanto alle feste comuni a tutti i musulmani, ne celebravano di proprie in onore dei loro martiri; propri furono anche i manuali di preghiere; partecipavano naturalmente al grande pellegrinaggio alla Mecca, ma in particolare visitavano le tombe degli imām e dei martiri. In processo di tempo gli sciiti si divisero in diversi movimenti dei quali i principali sono gli Zaiditi, seguaci dell'alide Zaid ben ʽAlī, che cercarono di abbattere il califfato omayyade, ma l'assassinio di Zaid fece fallire l'impresa. Dal lato dottrinario formarono un coacervo di otto scuole senza alcuna unità; Hašimiyya o Kaysāniyya, due gruppi di una setta molto frammentata e senza unità: specialmente i Kaisaniti svilupparono il carattere escatologico dell'imām trasformato in Mahdī; Duodecimani (Itnā-ʽašariyya), credevano che gli imām non dovessero essere più di dodici. Il dodicesimo non era morto, ma viveva nascosto in attesa del ritorno, quindi bisognava attenderlo e nel frattempo nessun altro imām doveva sostituirlo; Hurufiti, setta che, sorta nel sec. XIV, ha elaborato una nutrita teologia per la quale il mondo è eterno e soggetto a cicli, ognuno dominato da una teofania; nel primo ciclo si ha la teofania di Adamo; dopo l'ultimo si avrà il giudizio finale. Il divino si manifesta nel mondo attraverso i profeti, i santi e le ipostasi divine. La teofania divina avverrà in Fadh Allāh. Gli sciiti hanno prodotto nei secoli una letteratura teologica immensa, compensando con l'attività polemica ed erudita i continui insuccessi politici e mondani. Tematica costante furono le questioni dell'imanato, la valutazione teologica e legale dei primi califfi, l'occultamento dell'imām, le forme legali del matrimonio temporaneo, l'esegesi mistica del Corano.

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