Lessico

(nel senso 1 anche tàbu), sm. e agg. inv. [sec. XX; da una voce polinesiana tramite il francese tabou e l'inglese taboo].

1) Sm., in storia delle religioni, interdetto sacrale. Come agg., sacralmente interdetto: atto, cibo tabù.

2) Per estensione, come sm. e agg., di proibizioni dovute a convenzioni ereditarie, di divieti ingiustificati: sono ormai caduti molti tabù sessuali. Scherzoso, di cosa o persona cui non è consentito avvicinarsi, di parola che non è lecito nominare e simili: argomento tabù. Con accezioni specifiche: A) in psicanalisi, proibizione di tipo sociale o religioso, imposta da un'autorità esterna, tendente a impedire il soddisfacimento di alcuni desideri o impulsi soprattutto sessuali (incesto). B) In linguistica, fenomeno per cui si evita di pronunciare una determinata parola, ricorrendo spesso a una sua deformazione o sostituzione. Alla base del tabù linguistico, particolarmente diffuso presso i popoli primitivi, si possono individuare ragioni sacrali o magiche e motivazioni di carattere sociale e psicologico.

Antropologia culturale

L'uso convenzionale di tabù – termine introdotto negli studi a partire dal 1784 dopo la pubblicazione della relazione del terzo viaggio nel Pacifico di J. Cook, che lo aveva individuato la prima volta presso gli indigeni delle isole Tonga – e quindi la sua adozione, traggono giustificazione dalla possibilità di significare un gran numero di concetti e istituti di culture non occidentali, senza doverli tradurre con una terminologia occidentale (per esempio legge, reato, peccato ecc.), che inevitabilmente attribuirebbe a essi valori semantici impropri. Ora, però, si è persa di vista la convenzionalità del termine e gli si è attribuita una realtà culturale che, per essere essa esteriore a ogni singola cultura (ivi compresa la nostra), è stata intesa come anteriore, ossia come un'espressione di religiosità elementare, fenomenologicamente recuperabile e comunque tale da diventare di per sé oggetto di studio, facendo astrazione da ogni contesto culturale. Sono nate così le diverse classificazioni e teorizzazioni del tabù che hanno avuto gran parte negli studi storico-religiosi. A J. G. Frazer si deve una casistica minuziosa dei tabù che vengono raccolti in 4 categorie generali (azioni, persone, oggetti, parole) e sostanzialmente spiegati in chiave magica. La chiave magica è ancora utilizzata dalla scuola sociologica francese (E. Durkheim, H. P. Hubert, M. Mauss), che tuttavia, in vista dei suoi particolari interessi, scopre nel concetto di tabù funzioni sociali (o intese all'edificazione di una società): come strumento per la realizzazione della dialettica sacro-profano individuante una determinata comunità; come “rito negativo” operante nello stesso senso dei “riti positivi” ma a livelli irraggiungibili dai riti positivi imposti dalla società (appunto a livello magico, stante la contrapposizione di questa scuola tra un comportamento magico asociale e un comportamento religioso sociale). Con R. R. Marett, invece, si raggiunge un “magismo” assoluto, geneticamente estraneo all'edificazione sociale: tabù viene spiegato col concetto di mana e diventa una difesa dal “rischio mistico” di venire a contatto con ciò che è provvisto di mana (potenza-forza impersonale extraumana). Si ricorda infine S. Freud che in un suo diffusissimo libro (Totem e Tabù, 1913) equipara il tabù alle fobie riscontrabili in certe forme di nevrosi ossessive, fino a ricostruire in termini psicanalitici un'“infanzia” dell'umanità in cui certe proibizioni storiche sarebbero state col tempo sottratte alla storia e sarebbero diventate “una parte organica della vita psichica delle generazioni ulteriori”. Su ogni teoria generale del tabù ha oggi buon gioco la critica scientifica, mossa soprattutto dall'antropologia funzionalista (da B. Malinowski in poi) e strutturale (C. Lévi-Strauss), perché ogni teoria generale muove da un equivoco ontologismo, che trasforma in realtà culturale a priori ciò che può essere soltanto una convenzione a posteriori. L'antropologa francese F. Heritier, allieva di C. Lévi-Strauss, nelle sue ricerche affronta il tema del tabù teorizzando oltre un incesto di primo tipo (si riferisce ai rapporti sessuali tra genitori e figli o tra fratelli e sorelle, ma anche tra due sorelle, o due fratelli), anche un incesto di secondo tipo. Quest'ultimo non avviene nel contatto fisico tra le due persone consanguinee ma tramite una terza persona con la quale queste due persone hanno una relazione sessuale: come succede quando due sorelle o una madre e una figlia hanno rapporti con lo stesso uomo, oppure quando due fratelli o un padre e un figlio hanno rapporti con la stessa donna. La trasgressione di questo secondo tipo di tabù dell'incesto è considerato ancora più grave del primo e provoca gravi conseguenze psicopatologiche.

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