transessualìsmo

sm. [da trans-+sessuale]. Disturbo dell'identità di genere, caratterizzato dal vissuto di un sesso psichico opposto a quello biologico, per cui, per esempio, un uomo dal punto di vista genetico, gonadico e ormonale è un maschio, che però si sente, in assenza di patologia psichiatrica, e in modo continuativo, una donna imprigionata in un corpo maschile. L'individuo che vive questa condizione è impossibilitato a condurre un'esistenza consona al proprio sesso anatomico (in riferimento ad abbigliamento, affetti, lavoro, hobby) e prova disgusto nei confronti dei propri genitali, sino a desiderare intensamente di sbarazzarsene. Prova invece attrazione sessuale verso persone dello stesso sesso anatomico e desidera condividerne la vita affettiva, cosa che non ha significato di orientamento omosessuale, dal momento che la persona sente di appartenere al sesso opposto: la relazione è vissuta come eterosessuale. Spesso sin dall'infanzia cerca di adeguare il proprio aspetto esteriore, l'abbigliamento e il comportamento a quelli del sesso desiderato, e a partire dall'adolescenza cercherà di ottenere cure ormonali. Non vi sono cause mediche accertate alla base del transessualismo, anche se alcuni autori ipotizzano fattori genetici od ormonali, che avrebbero agito già durante la vita fetale: l'origine sarebbe dunque da ricercare in ambito psicologico. Poiché l'identità di genere si struttura entro il terzo anno di vita, si può ipotizzare che in questo periodo agiscano a livello profondo fattori di ordine relazionale, familiare, culturale e sociale (transessualismo primario). Si definisce transessualismo secondario, invece, una condizione acquisita più tardivamente, in seguito a condizionamenti sociali ed economici o a eventi traumatici. La variazione del sesso e la successiva variazione anagrafica del nome sono consentite in Italia a norma della legge n. 164 del 14 aprile 1982.

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