variabilità

Indice

Lessico

sf. [sec. XVII; da variabile]. L'essere variabile: variabilità del tempo. In particolare: A) In genetica, condizione per cui gli individui che compongono una popolazione portano, per determinati caratteri, alleli o combinazioni geniche differenti negli stessi loci genici (v. oltre). B) In statistica, attitudine dei fenomeni quantitativi ad assumere valori diversi. Essa si può intendere come dispersione dei valori di una distribuzione intorno al loro valore medio, oppure come diseguaglianza dei valori di una distribuzione fra loro. Le misure della variabilità si dicono assolute se sono espresse nella stessa unità di misura in cui sono espressi i singoli valori, relative se sono indipendenti dalle unità di misura impiegate. Pertanto, solo le misure relative permettono di confrontare la variabilità di fenomeni diversi. Sono indici di variabilità assoluta il campo di variazione, la differenza, o deviazione interquartile e quella media, tutte le misure basate sugli scarti (scarto medio semplice, scarto quadratico medio, varianza). Indice di variabilità relativa è il coefficiente di variazione.

Genetica

La variabilità genetica si è posta come problema già ai tempi di Darwin, che riteneva necessario postulare una forte variabilità entro le popolazioni. D'altro lato però Chetverikov aveva dimostrato che una metà della variabilità totale va perduta a ogni generazione. Darwin e molti altri studiosi non riuscirono a risolvere questo “dilemma” se non ammettendo che vi era un altissimo tasso di mutazione in ogni generazione e, poiché l'adattamento è conservato in ogni momento, che le mutazioni erano indotte come risposta a particolari esigenze, erano cioè adattative. Solo successivamente si dimostrò che alcuni assunti darwiniani non erano del tutto esatti e tra questi soprattutto il fatto che un genotipo uniforme permette un maggior adattamento. In pratica è oggi provato che una certa dose di variabilità genetica aumenta la capacità adattativa di una popolazione. È facilmente intuibile come un'accresciuta variabilità all'interno di una popolazione significhi maggior capacità di risposta nei confronti di cambiamenti, lenti ma soprattutto repentini, dell'ambiente; di più, permette anche una maggior colonizzazione ambientale (utilizzazione di più nicchie ecologiche) da parte dei vari genotipi con varie attitudini. È chiaro anche che una variabilità troppo alta va a scapito della capacità di presentare individui con fitness (capacità di sopravvivenza, di adattamento) alte per quel determinato ambiente. In natura le popolazioni presentano “giuste” dosi di variabilità, dovute all'equilibrio che si crea tra forze contrastanti: talune (mutazione, ricombinazione ecc.) tendono ad aumentare la variabilità, altre (selezione, eliminazione casuale ecc.) a ridurla. Di fatto, la variabilità è uno dei più importanti fattori evolutivi poiché crea la materia prima su cui può lavorare la selezione naturale.

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