Intervista a Salvatore Borsellino: «Paolo è stato ucciso dai traditori dello Stato»

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Era il 19 luglio 1992 quando Paolo Borsellino perse la vita in un attentato mafioso insieme a cinque agenti della sua scorta. Sono passati molti anni, ma sulla strage di via D'Amelio, a causa dei numerosi depistaggi, non si è ancora fatta chiarezza. Ne abbiamo parlato con Salvatore, fratello di Paolo.

Il 19 luglio ricorre l’anniversario dalla strage di via D’Amelio, attentato mafioso in cui nel 1992 persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio. Un’autobomba al civico 21 di questa strada di Palermo, 57 giorni dopo la strage di Capaci, con cui Cosa Nostra aveva eliminato Giovanni Falcone, collega e amico fraterno di Borsellino, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Sono passati tanti anni e su questi attentati, a furia di depistaggi, non c’è una verità più vera che in passato: a chiedere verità e giustizia, ieri come oggi, c’è sempre Salvatore Borsellino. Dito puntato verso i vertici dello Stato, tanta amarezza ma anche speranza nei giovani, a cui il fratello Paolo ha regalato un futuro migliore. L’intervista.

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Giovanni Brusca, tra gli esecutori della strage di Capaci e mandante di quella di via d’Amelio, ha finito di scontare la sua pena in carcere. Oggi è un uomo libero. Per lei è giusto?

Che impressione può fare a chi ha avuto cari uccisi da questa persona, sapere che ora è a piede libero? Ma è un prezzo duro che bisogna pagare. Questa legislazione premiale è stata voluta principalmente da Falcone stesso e da Borsellino e si è rivelato l’unico mezzo per avere, almeno, una parte di verità. Senza i collaboratori di giustizia tanti processi non sarebbero nemmeno iniziati o andati avanti. Quale sarebbe stata l’alternativa? I politici che si cospargono il capo di cenere per Brusca fuori dal carcere sono ipocriti, perché senza l’ergastolo ostativo, che vogliono abolire, sarebbe stato in ogni caso presto libero e senza neanche aver collaborato.

Sono passati 29 anni da quel giorno. Quali sono le cose che è importante la gente sappia e che invece non sono state sottolineate abbastanza?

Con i primi processi ci sono stati depistaggi che hanno allontanato la verità. Purtroppo, come è stato affermato nel Borsellino quater, si tratta di depistaggi di Stato da parte di funzionari di polizia che con torture fisiche e psicologiche hanno costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino ad addossarsi colpe che lui, balordo di quartiere, non avrebbe mai potuto avere. Gli hanno messo in bocca cose che solo chi era a conoscenza di ciò che era davvero avvenuto poteva conoscere, come il furto della Fiat 126 poi trasformata in autobomba. La gente deve sapere che il 19 luglio 1992 non c’è stato solo l'assassinio di Borsellino e della scorta, ma anche la scomparsa dell’agenda rossa su cui Paolo aveva annotato particolari riguardanti la trattativa Stato-Mafia.

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Oggi si parla quasi con leggerezza di questa trattativa. La si dà quasi per scontata, come se fosse un episodio come un altro della nostra storia recente. Ma in realtà dovrebbe sconcertare.

Se ne parla così perché, per allontanare la verità, sono stati messi in atto depistaggi. Tra l’altro questa trattativa, anziché fermare le stragi le ha moltiplicate. Dopo via d’Amelio ci sono state via dei Georgofili, via Palestro, San Giovanni in Laterano, il fallito attentato allo stadio Olimpico. Se si stratta con i criminali non ci si può aspettare altro, perché alzano sempre il prezzo della trattativa con l’unico mezzo che hanno. Non si può e non si deve trattare con l’antistato: chi dice che serviva per fermare gli attentati sbaglia o è in malafede. Paolo Borsellino avrebbe denunciato tutto e con lui in vita la trattativa non sarebbe continuata.

Secondo lei che ne è stato dell’agenda rossa di suo fratello?

L’agenda è stata fatta sparire dai servizi deviati e non dalla mafia. Dopo l’attentato, un capitano dei carabinieri si è allontanato con la borsa di Paolo, che poi è stata ritrovata sul sedile posteriore della sua auto, senza l’agenda all’interno.
Secondo il gelataio di Omegna Salvatore Baiardo, che ha protetto la latitanza dei fratelli Graviano, ne sono state fatte addirittura delle copie, date in pegno a uomini della mafia come garanzia. Cosa sarebbe successo se Borsellino avesse svelato che pezzi dello Stato stavano trattando con la Mafia? Sarebbe successa una rivoluzione. Lo Stato che tratta con gli assassini di Giovanni Falcone, come se fosse ammissibile. La verità, ripeto, è che le stragi non sono state fermate, anzi sono state portate dalla Sicilia al Continente. Poi le cose sono cambiate e adesso c’è una sorta di pax mafiosa.

Ci torneremo. Vorrei prima parlare di Maurizio Avola, che si è accusato dell'attentato di via d’Amelio. Recentemente in tv c’è stata un’accesa discussione in merito tra sua nipote Fiammetta, figlia di Paolo, e Michele Santoro.

Dopo il depistaggio di Scarantino c’è adesso questo di Avola, che vuole scagionare i servizi deviati addossandosi la strage di via d’Amelio. Ma le sue responsabilità sono già state smentite dalla procura di Caltanissetta: Avola il giorno prima era a Catania con un braccio ingessato. Le sue dichiarazioni cozzano tra l’altro con quelle di Gaspare Spatuzza, che invece è un collaboratore di giustizia accreditato.Non gli è stato dato credito, ma Santoro crede alle sue parole: avallando Avola si è assunto delle grosse responsabilità. Ha appena pubblicato il libro “Nient'altro che la verità”, che si dovrebbe chiamare secondo me “Nient'altro che depistaggi”. Forse è il prezzo che ha dovuto pagare per avere di nuovo notorietà e accesso ai salotti televisivi.

Tra Capaci e via d’Amelio corrono 57 giorni. Il destino di Falcone e Borsellino era segnato. L’ordine delle loro morti è stata casuale?

Paolo diceva che Falcone era sempre un passo avanti a lui. Era più vecchio di un anno, era diventato magistrato un anno prima. Paolo diceva che Giovanni era la sua assicurazione sulla vita. Finché Falcone fosse stato in vita, lo sarebbe stato anche lui. Dalla strage di Capaci iniziarono 57 giorni di calvario in cui Paolo ha convissuto giorno e notte con la morte, in cui ha cambiato aspetto, difatti riesco a riconoscere le foto scattate prima e dopo il 23 maggio 1992. Con Falcone se n’è andato un pezzo di Paolo, che ha iniziato a morire davanti alla bara dell’amico e collega. Nonostante questo ha scelto di non fuggire, di non farsi trasferire come io stesso gli ho chiesto. Ma non lo avrebbe mai fatto. Ha scelto di sacrificarsi perché solo così Cosa Nostra avrebbe perso la sua battaglia. Oggi Falcone e Borsellino sono eroi, all’epoca erano invece attaccati e denigrati: solo morendo avrebbe potuto cambiare le cose.

Falcone e Borsellino, citati sempre in coppia, anche nella toponomastica. Lo trova corretto?

Anche l’aeroporto di Palermo si chiama così, “Falcone e Borsellino”. Lo trovo giusto, non credo però sia stato corretto unificare l’anniversario delle stragi, che sono due fatti distinti. Vengono entrambe ricordate il 23 maggio, dimenticando quei 57 giorni. Quest’anno in via d’Amelio, dove c’è l’ulivo piantato per volere di mia madre, ho fatto nascere la “scorta per la memoria”: da maggio a luglio, l’albero è presidiato da volontari provenienti da ogni parte d’Italia per fare memoria, diversa dal ricordo, nella lotta per libertà e giustizia. Nella settimana del 19 luglio, l’ulivo sarà illuminato da luce tricolore, in modo che i morti possano riposare abbracciati dalla bandiera per cui hanno sacrificato la vita.

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Lei non gradisce la presenza delle istituzioni durante il ricordo, o meglio la memoria, della strage di via d’Amelio. Conferma?

Dalle istituzioni voglio verità e giustizia, non ipocrite corone di alloro nel luogo della strage. Chiunque può venire, ma come semplice cittadino, non come rappresentante delle istituzioni.

A proposito di istituzioni, non possono non chiederle il suo pensiero sull’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Per me è molto doloroso parlare di lui, dato che ha fatto distruggere intercettazioni in cui colloquiava con l'ex ministro Nicola Mancino, imputato proprio al processo sulla trattativa Stato-Mafia. Avrebbe dovuto pretendere che le intercettazioni fossero rese note a tutti, per fugare ogni dubbio. E invece… Pensi che durante un intervento al congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati, tenutosi a Palermo, ha salutato i familiari di Paolo, dicendo espressamente che per lui erano la moglie e i figli. Escludendo così dal novero dei parenti me e Rita (la sorella scomparsa nel 2018, ndr). Una cosa del genere detta da lui, che considero il garante del silenzio sulla trattativa Stato-Mafia, mi fa davvero molto piacere…

Ci sono stati diversi pentiti di mafia, per arrivare alla verità ce ne vorrebbe uno di Stato?

Sì. Però purtroppo non c’è e forse non ci sarà mai. Come ho scritto nel 2007 in una lettera aperta, se ci fosse un pentito di Stato forse si potrebbe arrivare alla verità sulle stragi. Attraverso l’agenda rossa, la scatola nera di quegli attentati. A poco a poco dei protagonisti di quella stagione non ci sarà più nessuno… Di quattro fratelli resto solo io, ma sono sicuro che tanti giovani, che incontro nelle scuole e sul web, prenderanno il mio posto. Così diceva Paolo: quando questi giovani saranno adulti avranno molta più forza di combattere rispetto alla mia generazione.

Prima ha accennato alla pax mafiosa. Quanto è cambiata la criminalità organizzata da allora?

La mafia ha cambiato aspetto, già con la cattura di Totò Riina probabilmente dovuta a Bernardo Provenzano, a cui furono assicurati altri decenni di latitanza, oggi assicurata a Matteo Messina Denaro. La mafia ha deciso di inabissarsi, ma come un tumore diventato metastasi ha aggredito tutta Italia. Mi sto riferendo in particolare alla ‘Ndrangheta, a cui non è immune nessuna regione d’Italia. Oggi la mafia è infiltrazione nelle amministrazioni pubbliche, accaparramento degli appalti, scambio di voti. La mafia delle lupare e delle bombe è diventata la mafia dei colletti bianchi, degli avvocati e dei commercialisti. Più difficile da riconoscere e combattere. Nel frattempo, lo Stato ha continuato a pagare le cambiali che aveva sottoscritto nella trattativa. E i fratelli Graviano sperano che non smetta di farlo.

Riuscirà mai a perdonare gli assassini di suo fratello?

Si può parlare di perdono per assassini diventati tali perché hanno avuto la sfortuna di nascere in una famiglia mafiosa. Persino per Gaspare Mutolo, strangolatore di Cosa Nostra che se non avesse conosciuto Riina in carcere sarebbe forse rimasto un ladruncolo. Ma come posso pensare di perdonare i traditori dello Stato, che hanno mandato mio  fratello in guerra contro la mafia, per poi ucciderlo alle spalle invece di combattere al suo fianco? Ci vogliono i santi, ci vuole Padre Puglisi per perdonare chi lo ha ucciso, non noi persone comuni.

Matteo Innocenti

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