DAD e DDI, Sonia Ghidoni: «Aule, lo spazio democratico che abbiamo perduto»

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Con la didattica a distanza prima e la digitale integrata dopo, la scuola cerca di non disperdere i talenti. Ma tra abbandono e digital divide le ferite si fanno sempre più profonde. Ecco cos'è cambiato.

Sonia Ghidoni ha 36 anni eppure si definisce un'insegnante ex preistorica. Ha faticato a calibrare le sue lezioni attraverso didattica a distanza prima e didattica digitale integrata dopo. Ma una volta imparato come caricare video su YouTube e svolgere progetti multi-piattaforma, ha anche approfittato dell'iniziale vuoto normativo per esplorare nuovi modi di fare lezione. Attualità, educazione civica e persino recensioni di film sono servite a entrare in contatto con i ragazzi, che da quasi un anno vivono la scuola a singhiozzi. Per lo più, dall'altra parte di uno schermo che li sta privando anche di quella necessaria concentrazione per studiare.

Gli effetti? Un rendimento poco incoraggiante. «Abbiamo seminato tanto per raccogliere pochissimo» spiega Ghidoni, professoressa di Storia e Filosofia presso il Liceo Artistico di Brera a Milano.
La sensazione più diffusa? «Impotenza. Quando sono in classe, posso catturare l'attenzione dei ragazzi, capire come stanno. Attraverso uno schermo non ci riesco».
Siamo quasi a febbraio, un altro anno scolastico sta terminando. Gli esami di maturità si avvicinano tra tante incertezze. In ballo c'è il futuro di una generazione, per cui Ghidoni ha un consiglio che va oltre lo studio (che però deve esserci).

Partiamo da una considerazione generale: qual è il suo punto di vista sulla didattica a distanza (DAD)?
Abbiamo iniziato con la DAD a fine febbraio scorso. E questo non ha fatto altro che rafforzare la mia convinzione: l'insegnamento passa interamente dalla presenza, dalla condivisione, soprattutto se si insegnano Storia e Filosofia. Durante il primo lockdown abbiamo dovuto improvvisare perché le regole sono arrivate molto in ritardo. Eppure eravamo molto più liberi: nel nostro vuoto ci siamo autogestiti per un lungo periodo e con un po' di incertezza, ma abbiamo potuto sperimentare. Ho rivoluzionato i programmi, facendo molta educazione civica e attualità.

Cosa pensa della sulla didattica digitale integrata (DDI)? 
Siamo in DDI da settembre, mentre da 2 giorni in presenza al con le classi al 50 per cento. Con l'autonomia scolastica questo protocollo è stato declinato in modo variabile, ma anche garantire una percentuale di presenza degli studenti è una cosa fantastica. Tuttavia avere una parte di studenti in classe e una a casa richiede due specificità, e mischiare le didattiche è complicato. Noi insegnanti avremmo anche bisogno del doppio del tempo per poterci preparare

Il tuo modo di preparare le lezioni è cambiato? Se sì, come?
Moltissimo. Prima mi bastava una lavagna di ardesia, il gesso e i miei libri. All'improvviso sono stata catapultata in un nuovo mondo. Basti pensare che ora Skype è diventato vintage! Ho caricato video filosofici su YouTube, ho creato gruppo su WhatsApp. Prepararsi dipendeva anche dalla classe che mi trovavo di fronte. Tutto questo è bello, ma non può sostituire un percorso pedagogico, che riesci a fare quando hai una relazione educativa forte. E questo si crea solo in presenza. 

Cosa senti che si è perso rispetto alla didattica in presenza costante?
Da quando è iniziata la pandemia, è stata registrata una grande dispersione scolastica in tutta Italia. Molti si sono allontanati, hanno smesso di connettersi. Alcuni non avevano gli strumenti. Ad altri mancava lo spazio, il silenzio per potersi connettere e concentrare davanti a un computer. Aver fatto scomparire lo spazio dell'aula, un luogo di condivisione e di uguaglianza, ci ha fatto perdere molto. Non puoi fare eccellenza se uno studente condivide la stanza con altri tre fratelli, con un computer solo, e un ambiente domestico in cui entrambi i genitori svolgono le proprie attività.

C'è qualche vantaggio nella didattica a distanza? 
Nella DAD gli unici vantaggi, secondo me, sono quelli epidemiologici. Invece nella DDI ci sono potenziali, grandi vantaggi. Potrebbe essere una grande sfida per il futuro, ma bisogna mettere a disposizione di tutti determinati mezzi, e non è una cosa scontata. 

Quali sono le reazioni degli studenti alla DAD? 
Le reazioni sono state molto variabili. In Lombardia tutti abbiamo avuto paura, abbiamo subito dei lutti. Alcuni avevano reazioni erano emotive, di grande scoraggiamento e grande fatica. Poi gli adolescenti sono tutti diversi, uno dall'altro. C'è lo smanettone, che è contento di stare in DAD. Ma c'è anche il ragazzo che ha bisogno della voce e della dimensione affettiva. La maggior parte degli studenti vuole tornare a scuola. Altri dicono che in DAD stavano bene perché hanno paura di prendere i mezzi, perché si sentono a rischio.

Cosa osserva nei loro rendimenti e nel loro modo di apprendere?
Il rendimento è crollato. Abbiamo fatto sforzi immensi per arrivare a un livello di apprendimento molto minore rispetto a prima. Il passaggio “trasmissione-compiti” può funzionare all'università, ma non al liceo. La differenza con la DAD è che se siamo in presenza e l'alunno si perde, l'insegnante lo sollecita. In DAD non è possibile: non riesco a leggere le reazioni dei miei studenti mentre faccio lezione, potrebbero anche essere davanti alla fotocamera e navigare su internet. Quando siamo in classe, percepisco anche la dimensione del disagio: mi accorgo se uno studente non sta bene. E poi ci sono i problemi a studiare...

In che senso?
Dopo tante ore trascorse davanti a uno schermo, ci sono problemi di concentrazione. Bisognerebbe aprire un enorme parentesi sui problemi cognitivi che sta creando lo stare davanti allo schermo così a lungo.

La Dad e la tecnologia necessaria hanno anche accentuato le disuguaglianze sociali: qual è stata la sua esperienza in merito?
Intanto, chi non aveva gli strumenti ha scelto di allontanarsi non connettendosi, scelta più facile a livello morale rispetto all'abitudine di andare a scuola, molto più impegnativo anche a livello sociale. A scuola riusciamo ad agganciare quelli che ora non riusciamo a prendere. Ho una sensazione di forte impotenza quando sono in DAD. Dall'altra parte non si sa cosa succede, cosa si sta vivendo, quali sono i vissuti, se riesci a seguire. C'è chi spegne la telecamera...

Si può fare?
La DAD ha aperto una diatriba importante: siamo entrati nelle case delle persone. È difficile obbligare qualcuno ad accendere la telecamera. Alcune scuole lo fanno, ma secondo me non esiste una risposta univoca. A volte la si tiene spenta usando delle scuse: “non mi funziona la telecamera”, “se l'accendo, salta la rete” e così via.

Maturità geneticamente modificata: maxi orale da una parte e bisogno di un esame serio dall'altra. Qual è la sua opinione?
Faccio fatica a immaginare una maturità oggi. Ogni volta che si usa la parola esame, dovrebbe esserci serietà. Se si ripeterà la situazione dell'anno scorso, non riusciremo nemmeno a preparare i ragazzi per portarli all'esame di Stato. Se le nuove modalità arriveranno a maggio, questo lavoro sarà impossibile.

Durante questi mesi ci sono storie o testimonianze che ti hanno colpito?
Sono stati mesi duri. Ho sentito tante storie personali, difficili, anche attraverso gli schermi. Io vivo sola e le uniche relazioni nel lockdown duro erano quelle con gli studenti. Si sono create relazioni molto intense con alcuni ragazzi. Un insegnante che ama il suo lavoro, non può che farlo con il cuore, e quindi farsi contagiare dall'emozione dei ragazzi. Alcune lezioni erano momenti di condivisione, che però hanno fatto crescere tanto i ragazzi. E anche noi. C'è chi mi ha detto: “A causa della pandemia, sono passato dall'essere un bambino all'essere un adulto”. 

Sono anni chiave per la crescita intellettuale e professionale dei ragazzi. Che consiglio dai agli studenti per affrontare questo momento, sempre più lungo, della loro formazione/non formazione?
Bisogna trarre da questo momento un insegnamento: che la realtà è sempre più complessa e più profonda di quanto pensiamo. Forse dobbiamo rivolgerci dentro di noi e cercare di affrontare paure ed emozioni. Questo può diventare uno strumento per affrontare la scuola in modo più maturo e consapevole, un po' come il “Conosci te stesso” socratico.

Stefania Leo