Il tramonto della commedia e il ritorno dell'atellana

La togata: Titinio, Afranio, Quinzio Atta

Con il declino della palliata fiorisce nel corso del sec. II la togata, la commedia di ambiente romano. C'è aria di nuovo e di originalità nel mettere in scena con vivacità aspetti della vita quotidiana del popolino, il mondo del lavoro e le usanze delle cittadine di provincia. La figura dello schiavo, così importante nella palliata, quasi scompare e i personaggi femminili diventano spesso protagonisti. Inventata probabilmente da Nevio, la togata ha i suoi scrittori maggiori in Titinio, Afranio e Atta.

Non si conosce nulla della vita di Titinio, il primo autore di togate, probabilmente contemporaneo di Terenzio. Restano di lui 15 titoli di commedie (tra cui Privigna, La figliastra, Tibicina, La suonatrice di flauto, Gemina, La gemella, Veliterna, La donna di Velletri) e pochi frammenti per circa 180 versi, che rivelano vena comica di tipo realistico, popolaresco e vivacità di stile alla maniera di Plauto. Divenne famoso per l'analisi dei caratteri dei personaggi, soprattutto femminili.

La togata raggiunge la sua massima espressione con Lucio Afranio, che visse nella seconda metà del II secolo a.C. Ammiratore di Terenzio e del greco Menandro, si rivolge nel suo teatro a un pubblico raffinato. I 43 titoli di togate rimasti (tra cui Compitalia, Le feste dei Lari; Augur, L'indovino; Privignus, Il figliastro; Divortium, Il divorzio; Crimen, L'accusa; Depositum, Il deposito) indicano tematiche varie, ma soprattutto legate ai rapporti di parentela e ai problemi della vita familiare. La sua commedia Incendium era rappresentata ancora all'epoca di Nerone. I frammenti rimasti, circa 400 versi, documentano uno stile garbato e raffinato. Le sue opere godettero a lungo del favore del pubblico.

Anche di Tito Quinzio Atta, l'ultimo autore di togate, morto a Roma nel 77 a.C. non si conosce quasi nulla. Restano 12 titoli e frammenti insufficienti per valutare in modo attendibile la sua produzione. Le sue togate, come per esempio Aquae calidae (Acque termali), si rappresentavano ancora all'epoca di Augusto ed erano lodate da Varrone e Frontone. Ricorre spesso anche in lui il tema familiare, almeno a giudicare dai titoli delle sue opere, che non dovevano essere molto originali, ricalcate su quelle di Afranio. Sembra che gran parte del suo successo di pubblico fosse dovuto al famoso attore Roscio.

Il ritorno dell'atellana

Nell'età di Silla (100-80 a.C.) rinasce l'atellana, ma decisamente rinnovata rispetto alla farsa popolare osca del periodo delle origini, ridotta a fare da intermezzo alle rappresentazioni teatrali di maggiore impegno. I due poeti Pomponio e Novio rilanciano il genere, conferendogli dignità letteraria. Nulla è più lasciato all'improvvisazione degli attori, le parti sono completamente scritte e l'azione è ordinata. I numerosi titoli rimasti testimoniano, da una parte, il legame mantenuto con le antiche maschere (Macco soldato, I due Dossenni, Buccone gladiatore, Macco vergine, Buccone adottato ecc.), dall'altra, l'introduzione di una grande varietà di argomenti tratti dalla vita cittadina e contadina e anche dalla mitologia (Il medico, La ragazza incinta, I pescatori, L'asina, Il processo, Andromaca ecc.).

Dai frammenti si ricava un contenuto sempre farsesco e osceno e una comicità popolaresca e grossolana. L'atellana attirò in teatro molti spettatori, colti e non, durante tutta l'epoca repubblicana e anche in quella imperiale, pur con minor successo per la presenza dominante del mimo.

Il bolognese Lucio Pomponio (fine sec. II a.C.) coltivò anche la togata e la parodia mitologica. Si conoscono 70 titoli di atellane e frammenti per circa 200 versi, che rappresentano scene di vita quotidiana con linguaggio popolare e pittoresco, di immediata comicità, doppi sensi e oscenità.

Della produzione di Novio (sec. I a.C.) rimangono 43 titoli e frammenti per un centinaio di versi, spesso spassosi per le invenzioni linguistiche, le allitterazioni, i giochi di parole e le bizzarre metafore.