Livio

L'opera

L’opera che gli diede la fama si intitola Ab urbe condita libri e consta di ben 142 libri, sui 150 che l’autore aveva previsti, divisi in decadi (gruppi di dieci). Livio cominciò a scriverla verso il 25 a. C. Si tratta di un’opera gigantesca, in cui narrò la miracolosa storia di Roma, assurta da umili origini alla gloria del più grande impero che mai fosse esistito. L’opera doveva giungere alla morte di Augusto (14 d. C.), invece si fermò al 9 a.C (morte di Druso). Un’opera di così vasta mole non poteva reggere al logorio del tempo e andò,  infatti, perduta in gran parte. Così ci sono rimasti solo 35 libri:
– la prima decade, dalla fondazione di Roma alla terza guerra sannitica, con la battaglia di Sentino (293 a. C.);
– la terza decade, che comprende la seconda guerra punica, dalla presa di Sagunto (218 a. C.), alla vittoria e alla pace di Zama (201 a. C.);
– la quarta decade, dal 201 alla morte di Filippo V di Macedonia (I79 a. C.);
metà della quinta decade, dal 178 alla vittoria del console Lucio Emilio Paolo a Pidna nel 169 a. C., che pose fine alla III guerra macedonica.
Di tutti i 142 libri, tranne il 136 e il 137, ci sono rimaste però le periochae, sommari che un anonimo autore compilò al principio dell’era volgare, forse nel IV secolo,  verosimilmente per esigenze di scuola. Queste, comunque, tranne quando si fanno semplici indici della materia trattata, non mancano di utili indicazioni. Abbiamo poi dei  compendi meno aridi e impersonali, le epitomae. Quelle più degne di menzione, sono quelle di Floro e Granio Liciniano (II sec.), Eutropio e Rufo Festo (IV sec.), e Paolo Orosio (V sec.).

Significato e valore delle storie

Livio seguì il sistema tradizionale annalistico, ovvero divise la sua esposizione anno per anno, non esitò, però, a troncare la narrazione di un avvenimento per seguire gli sviluppi di altri eventi verificatisi in quello stesso anno. Quanto alle fonti, consultò gli Annales pontificum, i Commentarii magistratuum, resoconti dei magistrati, gli Acta diurna, nonché gli storiografi precedenti (Fabio Pittore, Celio Antipatro, Polibio…) e persino i poeti, come Nevio, Ennio, Accio. Nel registrare e valutare i fatti sceglie la versione più probabile e, in caso di dubbio, presenta anche più di una versione, per dar prova di lineare imparzialità. Segue i parametri soliti della storiografia precedente, ci fornisce, pertanto, scarsi accenni alla vita culturale dei Romani e non mostra particolari interessi di tipo giuridico, amministrativo, economico. La stessa sua competenza militare è modesta. Dedica invece molta cura all’elencazione di sogni, prodigi, la cui narrazione rende suggestive molte delle sue pagine. Ai prodigia mostra di non credere, ma ammette che in casi eccezionali la volontà divina si manifesti anche con segni portentosi. Il suo spirito è profondamente religioso e vede che le azioni umane sono regolate dagli dèi, che è d’obbligo rispettare: da qui muovono le sue lodi alla semplice e sana religiosità del buon tempo antico e, di contro, la sua condanna per la noncuranza dei valori religiosi (neglegentia deum) in atto nel presente. Al di sopra della volontà degli dèi e degli uomini, per Livio, però, si erge l’incontrovertibile forza del Destino (vis Fati). È però compito dell’uomo condurre una vita operosa, perché le sue virtù sono il fattore determinante per orientare gli eventi in positivo: il successo non è un evento fortuito. Anche se non particolarmente scrupoloso nel riportare i fatti, con gli occhi sempre rivolti ai Romani, trascurando con una certa disinvoltura gli altri popoli, ha dato tuttavia vita ad un’opera che, ispirata dall’orgoglio di sentirsi romano, sacrifica volentieri l’imparzialità al fine di un utile ammaestramento morale: una storia condotta criticamente, con severo controllo delle fonti, non rientrava, pertanto, nei suoi programmi. Livio è stato un geniale ricostruttore, in pagine immortali, degli eventi di cui fu protagonista il popolo più famoso della terra. Ha scritto le sue storie con l’intento di consegnare ai posteri le memorie di un periodo glorioso, che possano servire da guida e da ammonimento alle età future, e di preservare un patrimonio morale e civile di grande valore, a cui la sua prosa ha ridato vita e dimensione eroica.