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La datazione dei reperti

Per datare i reperti preistorici vengono utilizzati metodi induttivi tratti dalle scienze naturali. Fra questi, il più noto è quello del radiocarbonio (C 14). Esso si basa sul fatto che tutti gli organismi viventi durante il loro ciclo vitale assorbono tale sostanza che invece si disintegra gradualmente quando l'organismo muore. Esattamente, ogni 5730 anni si disintegra metà del radiocarbonio; dalla quantità di C 14 contenuta in un reperto organico è quindi possibile risalire al periodo in cui l'organismo è vissuto. Altri metodi analoghi si basano sull'analisi di azoto, fluoro e uranio presenti nelle ossa e assorbiti dal terreno secondo ritmi considerati costanti. Il punto debole di tali metodi risiede nel loro fondarsi su principi di fisica teorica alquanto astratti che proiettano indietro nel tempo le stesse condizioni cosmiche attuali, cosa non ammessa da altre concezioni cosmologiche che considerano il tempo in modo non lineare e scandito da soluzioni di continuità qualitative. Infine, ricordiamo la dendrocronologia che si basa sul conteggio degli anelli concentrici dei tronchi d'albero e sul fatto che lo spessore e la consistenza di questi sarebbe simile per alberi vissuti nello stesso periodo e ambiente; e il metodo della termoluminescenza che si fonda sul fatto che la ceramica riscaldata emette una luminosità tanto maggiore quanto più è antica.