Berg, Alban

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La vita

Compositore austriaco (Vienna 1885-1935). Dedicatosi alla musica da autodidatta, dal 1904 al 1910 fu allievo di A. Schönberg, quindi suo amico e collaboratore, formando con lui e A. von Webern uno stretto sodalizio. Nel 1925, in seguito alla prima rappresentazione del suo Wozzeck, si impose all'attenzione del mondo musicale europeo. Fino alla morte alternò i soggiorni a Vienna e in Carinzia, sulle rive del Wörthersee, dedicandosi all'insegnamento privato della composizione; nel 1933, con l'ascesa del nazismo, vide cessare le esecuzioni dei suoi lavori.

Le opere

La figura di Berg si colloca nell'ambiente culturale viennese in cui erano attivi pittori e letterati come O. Kokoschka, K. Kraus, P. Altenberg e altri rappresentanti di un'avanguardia che denunciava con lucida e a volte parossistica violenza l'ipocrisia morale dell'Austria asburgica e la crisi di un mondo in disfacimento. Nel clima dell'espressionismo si radica il pessimismo dell'autore, i cui poli caratterizzanti sono l'esasperato grido di rivolta e la struggente dimensione elegiaca del rimpianto. Il suo drammatico linguaggio si legò alla tradizione tardoromantica, a Brahms, a Wolf e soprattutto alle allucinate visioni di G. Mahler, delle cui stravolte sonorità orchestrali e del cui gusto per la citazione più di un'eco passò nelle sue opere. Il condizionamento del gusto tardoromantico, insieme all'influsso di Debussy, è evidente nei Lieder giovanili; con la Sonata op. 1 per pianoforte (1907-08), non lontana da contemporanei modelli formali di Schönberg, il mondo poetico di Berg è chiaramente riconoscibile: tutta la sua opera peraltro è improntata a una rara unità e coerenza. Nei quattro Lieder op. 2 (1909) e nel Quartetto op. 3 (1910) il linguaggio tonale appare già pienamente messo in crisi: egli proseguì sulla via dell'atonalismo con i Lieder op. 4 (1912, su testi di P. Altenberg), che, insieme ai Tre pezzi per orchestra op. 6 (1914-15), segnarono i primi contatti con la grande orchestra. Dopo la raffinata rarefazione timbrica dei Lieder, nell'op. 6 il linguaggio orchestrale denso ed estremamente complesso, ai limiti della saturazione, e la tensione drammatica anticiparono gli accenti del Wozzeck. In quest'opera, uno dei massimi capolavori del teatro musicale contemporaneo, la tematica berghiana della solitudine e della tragica e angosciosa condizione esistenziale si incarna in un disperato grido di protesta, a contatto con il lucido e polemico testo di G. Büchner. Il secondo capolavoro teatrale di Berg, Lulu, fu preceduto da due opere di grande interesse, il Concerto da camera per violino, pianoforte e 13 strumenti a fiato (1925) e soprattutto la Suite lirica (1925-26), una delle più alte pagine per quartetto d'archi scritte nel sec. XX. Lulu rimase incompiuta nella strumentazione di parte del III atto, finito solo nei brani che vennero inclusi nella Lulu-Symphonie, ricavata dall'opera. Iniziato nel 1928, il lavoro è tutto dodecafonico, nella personale accezione data da Berg a quel metodo compositivo, che gli servì soprattutto ad assicurare la coerenza dell'immagine musicale e venne “inserito come un dispositivo di sicurezza più che realizzato seguendo la sua specifica sollecitazione interna” (Adorno), prestandosi a rendere anche echi e ombre tonali. Ciò appare particolarmente evidente nel Concerto per violino (1935), in cui la serie stessa si articola secondo principi tonali e vengono citati una melodia popolare della Carinzia e un corale di Bach (l'inizio del quale coincide con le ultime quattro note della serie). Lo struggente lirismo di questa meditazione sulla morte tende a una disperata volontà di comunicazione; l'impossibilità di sanare la frattura stilistica tra il corale e il resto dell'opera si risolve nell'espressione di una desolata profondità dolorosa. Il costante legame con la tradizione, avvertibile in tutta l'opera di Berg più che in quella di Schönberg o di Webern, ha il senso appunto di una nostalgia del “canto”, della comunicazione ormai impossibile; non a caso trova corrispondenza in un'articolazione formale tra le più dense e complesse, che non tende però all'ordine, ma al caos e al disfacimento. La sostanza del discorso musicale del compositore è rivolta all'annientamento, all'estinzione senza speranza del discorso stesso.

Bibliografia

L. Rognoni, Espressionismo e dodecafonia, Torino, 1954; F. Redlich, Alben Berg, Vienna, 1957; R. Vlad, Storia della dodecafonia, Milano, 1958; Th. W. Adorno, Alban Berg, Vienna, 1968; K. Monson, Berg, Milano, 1982.

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