D'Annùnzio, Gabrièle

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Biografia

Scrittore italiano (Pescara 1863-Gardone Riviera 1938). Si affermò a soli sedici anni, quando era ancora studente presso il collegio Cicognini di Prato, pubblicando, a spese del padre, la sua prima raccolta di versi, Primo vere (1879); trasferitosi a Roma (1881), fece il suo ingresso nel gran mondo dei salotti e dei ritrovi galanti e in quello dell'editoria: risolutivo fu soprattutto l'incontro del giovane D'Annunzio con l'editore A. Sommaruga, che impose definitivamente sul mercato librario il nome del nuovo scrittore. A sua volta, D'Annunzio seppe amministrare abilmente la propria parte di personaggio, mantenendo il rapporto con il pubblico secondo una vera e propria legge di mercato. In questa prospettiva si spiegano i fatti clamorosi del periodo romano dello scrittore: il matrimonio (1883) con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, dopo una fuga sensazionale, e la successiva relazione tumultuosa con Barbara Leoni; i duelli e i processi; le cacce a cavallo e le imprese sportive; e si chiarisce l'importanza decisiva della sua esperienza giornalistica sulle pagine prima del Fanfulla, del Capitan Fracassa, della Cronaca bizantina, poi della Tribuna e del Mattino. Eletto, nel 1897, deputato dell'estrema destra, D'Annunzio passò tre anni dopo alla sinistra, che però non prese sul serio la sua affermazione di andare “verso la vita”: troppo teatrale era quel gesto, compiuto proprio nel periodo in cui lo scrittore aveva intrecciato, con la “tragica” Eleonora Duse, una relazione non esente, pur nell'autenticità della passione, da un calcolo sapiente, che la trasformava in un'operazione di divismo pubblicitario, come dimostra il trasferimento (1898) dei due amanti alla Capponcina, una fastosa villa presso Settignano. Dopo la rottura con la Duse (1904) D'Annunzio, per sottrarsi alla morsa dei creditori, si rifugiò (1910) in Francia. Nel 1915 ritornò in Italia e, con il discorso tenuto a Quarto il 5 maggio, si schierò alla testa degli interventisti. Prese poi parte alla guerra, mostrando coraggio e spirito d'iniziativa in numerose imprese: voli su Trieste e Trento, dove perse l'occhio destro in un atterraggio forzato (1916), incursioni aeree su Pola e su Cattaro (1917), beffa di Buccari e volo su Vienna (1918); ma queste azioni spettacolari fecero di D'Annunzio un guerriero privilegiato, che ignorava la vita orrida e logorante della trincea. Terminata la guerra, D'Annunzio si fece portavoce del mito della “vittoria mutilata” e, nel settembre 1919, alla testa di un gruppo di legionari, occupò Fiume, dove restò quale “Comandante” fino al “Natale di sangue” del 1920, inaugurando quella tecnica della coreografia totalitaria che fu presto messa a frutto, con più risoluta spregiudicatezza, da Mussolini. Dopo l'avvento del fascismo, D'Annunzio venne ufficialmente esaltato ma in realtà isolato nel suo dorato confino del Vittoriale, a Gardone, che egli trasformò in un funebre mausoleo.

La concezione estetica

L'identificazione di letteratura e vita è il presupposto essenziale dell'arte dannunziana, che contrappone alla prosaica realtà dell'Italia giolittiana l'estetismo, cioè il culto religioso della bellezza, volto a blandire la piccola borghesia insoddisfatta e far leva sul suo segreto bovarismo. Sbocco inevitabile dell'estetismo dannunziano è stata la scoperta di Nietzsche: un Nietzsche svuotato di ogni tragicità e autenticità morale, dal quale D'Annunzio ha ricavato il mito del superuomo, realizzando artisticamente i sogni velleitari della classe media (la forza fisica e lo sfrenato erotismo, il culto per l'avventura e il disprezzo per la plebe, la difesa dell'ordine e l'aspirazione alla grandezza nazionale), ma anche una disposizione nichilistica, che affiora nei più celebrati miti di Alcyone, come desiderio di “tregua”, di immedesimazione panica con la natura, e finisce con il dominare nella produzione “notturna”.

Le opere

Il vero esordio poetico di D'Annunzio, dopo le rime acerbe di Primo vere, è costituito da Canto novo (1882), dove la lezione carducciana è filtrata da un gusto, già tutto personale, dell'esuberanza vitale e dell'esaltazione panica, ancora limitata alla fisicità naturale. Nel 1882 apparve anche il libro di racconti Terra vergine, al quale fecero seguito il Libro delle vergini (1884) e le novelle di San Pantaleone (1886), ripubblicate con il titolo Le novelle della Pescara (1902): è evidente in questo ciclo la suggestione del Verga, limitata però a un bozzettismo esterno, che esclude l'intima partecipazione dello scrittore e accentua i motivi del turpe e del deforme. Nel clima di raffinata eleganza del periodo romano D'Annunzio aveva allargato il suo orizzonte letterario e preso contatto con la scuola parnassiana, facendosene influenzare nei preziosi arabeschi dell'Intermezzo di rime (1883), dell'Isotteo e della Chimera (1890), delle Elegie romane (1892), e raggiungendo la più alta espressione del suo compiaciuto erotismo con il romanzo Il piacere (1889), che costituisce il codice dell'estetismo dannunziano. Ma le suggestioni del misticismo irrazionalistico e dello psicologismo della letteratura russa lo indussero a tentare il superamento del suo istintivo sensualismo, alla ricerca di un'artificiosa “bontà”: nacquero così i versi del Poema paradisiaco (1893), che anticipa modi crepuscolari, e i romanzi Giovanni Episcopo (1892) e L'innocente (1892). L'accostamento al profeta di Zarathustra condusse quindi D'Annunzio alla poetica del “superuomo”: dal ritmo cupo e ossessivo del romanzo Il trionfo della morte (1894) si passa alle Vergini delle rocce (1896), un romanzo che celebra l'ideale politico del superuomo in una serie di astratti motivi decorativi, e al Fuoco (1900), il cui turgore di metafore e immagini segna il pieno avvento linguistico dell'“Imaginifico”. Accanto all'esperienza narrativa, si svolgeva intanto quella teatrale, in cui ricorre la stessa tematica del superuomo: da La città morta (1898), forse la migliore tragedia dannunziana, a La Gioconda (1899) e La Gloria (1899), dove il motivo superumano raggiunge toni parossistici. La catarsi è raggiunta nel primo e soprattutto nel terzo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, cioè in Maia (Laus vitae, 1903) e Alcyone (1904), dove la parola si dissolve in una germinazione stupenda di immagini e suoni, echi e assonanze, mentre negli altri libri (Elettra, 1904; Merope, 1912; Asterope, postumo, 1949) prevalgono accenti di oratoria civile. Gli esiti della poesia alcionia si avvertono in parte nel dramma La figlia di Iorio (1904) e nel romanzo Forse che sì forse che no (1910), mentre l'eloquenza superumana prosegue nelle tragedie (Francesca da Rimini, 1902; La fiaccola sotto il moggio, 1905; Più che l'amore, 1906; La nave, 1908; Fedra, 1909) e nei lavori scenici composti in Francia (Le martyre de Saint Sébastien, 1911, musicato da C. Debussy; La Pisanella, 1913; Parisina, 1913, musicato da P. Mascagni). L'ultima stagione dannunziana è quella “notturna” delle prose autobiografiche: la Contemplazione della morte (1912), La Leda senza cigno (1916), Le faville del maglio (Il venturiero senza ventura, 1924; Il compagno dagli occhi senza cigli, 1928; La Violante dalla bella voce, postumo, 1971), il Notturno (1921) e il Libro segreto (1935). È una scrittura frantumata, che si svolge attraverso rapide illuminazioni e ariose divagazioni, in uno stile lucido e disincantato, la cui rarefatta perfezione costituisce, forse, la migliore lezione che D'Annunzio ha lasciato al Novecento.

Bibliografia

F. Flora, Gabriele D'Annunzio, Napoli, 1926; M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano, 1930; W. Binni, La poetica del decadentismo italiano, Firenze, 1936; P. Pancrazi, Studi su D'Annunzio, Torino, 1939; G. Devoto, Studi di stilistica, Firenze, 1950; A. Momigliano, Ultimi studi, Firenze, 1954; G. Debenedetti, Saggi critici, Milano, 1955; E. Cecchi, Ritratti e profili, Milano, 1957; E. De Michelis, Tutto D'Annunzio, Milano, 1960; E. Sanguineti, Tra liberty e crepuscolarismo, Milano, 1961; N. Valeri, D'Annunzio davanti al fascismo, Firenze, 1963; G. Contini, Letteratura dell'Italia unita 1861-1968, Firenze, 1968; E. Giachery, Verga e D'Annunzio, Milano, 1968; G. Barberi Squarotti, Invito alla lettura di Gabriele D'Annunzio, Milano, 1990.

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