Dighenìs Akrìtas

poema anonimo bizantino, in greco demotico, redatto verso il sec. X. Vi confluiscono nuclei epici della saga degli acriti, i guerrieri bizantini posti a guardia dell'Impero lungo l'Eufrate. Nella redazione scritta e nello stesso nesso degli episodi si ravvisano interventi colti, non solo sul piano formale (atticismi e derivazioni letterarie classiche) ma anche su quello dei contenuti (influssi del romanzo greco e neogreco). L'immensa vitalità della saga è dimostrata dalla fortuna che essa ha goduto nella grecità medievale e moderna fino ai nostri giorni (basti citare La morte di Dighenìs di A. Sikelianós). Gli ultimi studi hanno illustrato e presentato sinotticamente tutte le diverse versioni del poema: quelle di Oxford, di Cesario Daponte, in prosa (derivante da una stesura in versi), di Andros, la versione contaminata Z, quelle di Grottaferrata (conservata nel più antico dei manoscritti a noi noti, sec. XIV) e dell'Escorial, la traduzione russa. Dal confronto delle redazioni, ciascuna delle quali presenta aspetti linguistici e metrici peculiari, è possibile individuare il contenuto essenziale dell'archetipo, già esistente nell'età dei Comneni. Dighenìs, il cui nome significa “di duplice stirpe”, è figlio d'un emiro “della razza di Agar” e d'una cristiana della famiglia Dukas, da quello rapita e sposata; chiamato Basilio e soprannominato Akrítis (Akrítas) perché custode delle akre (confini), si segnala precocemente per coraggio e vigore in imprese di caccia, rapisce la figlia dello stratega Dukas e la sposa. Tutta la sua vita è un susseguirsi di avventure straordinarie fino alla morte che lo coglie vicino alla moglie, che per il dolore spira sul corpo dell'eroe.

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