Fabbri, Agènore

scultore italiano (Barba, Pistoia, 1911-Savona 1998). Dopo aver frequentato la Scuola d'Arti e Mestieri di Pistoia, si trasferì nel 1935 ad Albisola, dove lavorò in una fabbrica di ceramiche. Nel dopoguerra si stabilì a Milano. Le terrecotte policrome e le sculture a gran fuoco degli anni 1940-55 (Donna col gatto, 1947; Il grido, 1949) fondono l'eredità della scultura popolare medievale toscana con la lezione monumentale e semplificatrice di A. Martini, collegandosi per l'immediatezza del gesto alle correnti dell'espressionismo astratto. Nelle opere in bronzo successive al 1956, l'artista individuò nel tecnologismo il responsabile della tragedia umana; le figure, tra l'umano e il meccanico, scarnificate, dilaniate come da immani conflagrazioni atomiche, sono ridotte a relitti che simboleggiano, assieme a quella umana, anche la catastrofe della tecnologia (Cane atomizzato, 1957, Milano, collezione dell'artista). Nel corso degli anni Settanta, la sua opera fu “in presa diretta” con il mondo del quale indicava i mali (La mano incarcerata e La mano di spine, 1970). L'ultima produzione s'inserì nell'ambito d'una nuova figurazione che recuperava aspetti della fase iniziale accanto alla presenza esplicita della componente espressionistico-surrealista .

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