Kali

dea indiana connessa nel culto induistico al dio Śiva. La sua concezione si rifà all'idea di ṡakti, la forza o potenza di un dio immaginata come una dea sposa del dio stesso. Così Kali è la forza distruttrice di Śiva e la sua sposa: è il suo lato “oscuro”. Ella è nera, perché regina del mondo notturno, della realtà onirica (contrapposta alla realtà diurna). Sua è la notte più oscura dell'anno, il novilunio del mese in cui cade il solstizio invernale. La sua immagine è spaventosa: ma i suoi adoratori si reputano superiori agli eventi appunto per la capacità di conservarsi calmi di fronte alle terrificanti manifestazioni della dea. Essi sono al di sopra di ogni legge: possono uccidere e rubare perché hanno acquisito una posizione superordinata rispetto al bene e al male. Il culto di Kali, inteso come superamento della realtà mondana condizionata dalla morte, ha dato luogo a messianismi di varia natura. Nel Bengala ha fomentato movimenti irredentisti che vedevano in Kali la personificazione del Bengala stesso. Non manca questa componente nella sanguinaria setta dei thug. Un messianismo del tutto diverso, tollerante e pacificatore, è quello predicato dal bengalese Ramakrishna, sacerdote di Kali. § Tra i vari aspetti assunti da Devī, divinità importante del brahmanesimo e sposa di Śiva, quello di Kali la Nera, diffuso nell'India meridionale, dove si è sviluppato tutto un particolare rituale legato al suo culto, è uno dei più popolari. Kali viene raffigurata con quattro o più braccia, la bocca rossa di sangue (di cui sono macchiati i palmi delle mani e la lama lucida dell'ascia che stringe in una di esse), gli occhi esorbitanti in un'espressione di infinita ira e crudeltà, l'acconciatura scomposta ad andamento fiammeggiante. Una collana di teschi le cinge il collo.

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