Lucini, Giàn Piètro

scrittore italiano (Milano 1867-Breglia, Como, 1914). La sua salute fu minata fin dall'infanzia dalla tubercolosi ossea, che lo condusse alla morte. Amico di C. Dossi, cui dedicherà un celebre saggio (L'ora topica di Carlo Dossi, 1911), ereditò dalla scapigliatura un atteggiamento di provocazione e di rivolta, testimoniato dal romanzo autobiografico Spirito ribelle (1888), più tardi rielaborato con il titolo di Gian Pietro da Core (1895). Il suo individualismo anarcoide mal si conciliava, tuttavia, con la sua raffinata cultura simbolista, la quale a sua volta cozzava con le suggestioni del vitalismo dannunziano: ma lo sforzo di Lucini fu quello di contrapporre a D'Annunzio una soluzione alternativa, in direzione di una poesia provocatoria e satirica, profondamente impegnata con i problemi sociali. Tale ambizione di superamento del dannunzianesimo (teorizzata in Antidannunziana, 1914) si accompagnò a una polemica nei confronti del futurismo: dopo la pubblicazione del saggio Ragion poetica e programma del verso libero (1908), che anticipava idee tipicamente futuriste, Lucini ruppe clamorosamente con Marinetti, colpevole di aver asservito a una scuola l'anelito a un'arte nuova e di avere svolto propaganda in favore della guerra libica. Non a caso l'esito più alto di Lucini è da ricercare nella durissima polemica antimilitarista e antiborghese di Revolverate (1909), mentre il filo simbolista della sua lirica si dipana, oscillando tra passionali accensioni e lucidità intellettuale, dal Libro delle figurazioni ideali (1894) e dal Libro delle imagini terrene (1898), attraverso il Monologo di Rosaura (1898) e L'intermezzo dell'arlecchinata (1898), fino alla Prima ora dell'Accademia (1902) e a La solita canzone del Melibeo (1910). Tra le prose sono infine da ricordare Le nottole e i vasi (1912), squisite pseudotraduzioni da papiri greci.

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