Generalità

Isola (1128 km²; 386.486 ab. secondo una stima del 2013) dell'America Centrale, nelle Piccole Antille, bagnata dal Mar delle Antille a W e dall'Oceano Atlantico a E. Costituisce un dipartimento d'Oltremare della Francia con capoluogo Fort-de-France. L'isola, le cui zone interne sono ancora in gran parte ricoperte da dense foreste, è prevalentemente montuosa e raggiunge i 1397 m nella Montagne Pelée, imponente apparato vulcanico la cui eruzione del 1902 causò la morte di 30.000 persone. Il clima è di tipo tropicale, caldo e umido, caratterizzato da abbondanti precipitazioni, specie sui versanti di NE; nei mesi estivi sono frequenti gli uragani. La popolazione è costituita soprattutto da neri e mulatti, discendenti dagli schiavi deportati nelle Antille dall'Africa occidentale; lingua ufficiale è il francese (d'uso però è un creolo-francese), religione prevalente è la cattolica. I centri maggiori sorgono prevalentemente sulle alture, dove il clima è più favorevole, ma anche e soprattutto presso la costa. Fort-de-France, il capoluogo, vivace centro amministrativo e primo porto commerciale situato sulla costa occidentale dell'isola, ospita ca. un quarto della popolazione totale. Risorse principali sono l'agricoltura (canna da zucchero, banane, batate, manioca, caffè, cacao, ananassi, agrumi), l'allevamento del bestiame, la pesca e lo sfruttamento forestale (palissandro, mogano, bambù); le industrie comprendono zuccherifici, distillerie (rum), birrifici e fabbriche di conserve di frutta. Diversamente dall'altro dipartimento francese di Guadalupa, la struttura funzionale della Martinica si presenta monopolare – anche a causa della diversa configurazione del territorio – e interamente centrata sull'agglomerazione del capoluogo, Fort-de-France. Anche la Martinica ha visto crescere fortemente la disoccupazione fra gli anni Ottanta e Novanta del sec. XX: da 40.000 a oltre 55.000 unità. Ciò denota le difficoltà di un sistema economico “protetto” e sostanzialmente chiuso, nonostante gli indicatori socio-economici risultino in gran parte positivi: la crescita del PIL è largamente superiore a quella della popolazione, ormai scesa a valori “europei” (0,7% annuo nel periodo 1994-99), come pure la mortalità infantile (5,9‰). La bilancia commerciale resta enormemente deficitaria: le esportazioni (frutta tropicale e rum, oltre ai prodotti di una raffineria di petrolio che lavora greggio in transito) raggiungono appena il 10%, in valore, delle importazioni (autoveicoli, prodotti alimentari e beni di consumo). Nel settore industriale si segnala lo sviluppo di piccole e medie imprese operanti nei settori agro-alimentare e dell'ingegneria chimica. Basilare fonte di reddito è sempre il turismo (1.039.082 visitatori nel 1998, per il 55% crocieristi). Nel complesso, il 75% del PIL è prodotto dal settore dei servizi, bene organizzato e, tuttavia, prevalentemente assistito dalla “madrepatria”. Le aree protette superano di poco l'1%. In francese, Martinique.

Cenni storici

Scoperta nel 1502 da C. Colombo che la occupò in nome della Spagna, nei secoli successivi l'isola cambiò più volte padrone, seguendo le vicende delle rivalità europee. Nel 1635 fu invasa per la prima volta dai Francesi. Nel 1666 fu attaccata dagli Inglesi e nel 1674 dagli Olandesi. In seguito, gli Inglesi la occuparono più volte (1762-63; 1794-1802 e 1809-14). Ceduta definitivamente ai Francesi nel 1814, la Martinica è un dipartimento francese d'Oltremare, rappresentato all'Assemblea nazionale da quattro deputati e al Senato da due senatori. Esiste un Consiglio generale di 45 membri. L'amministrazione è affidata a un prefetto. Una parte cospicua della popolazione auspica l'indipendenza.

Letteratura

Prima degli anni Venti del sec. XX il panorama letterario martinicano presentava una generale mediocrità: la borghesia nera seguiva pedestremente i modelli francesi. Una svolta fu annunciata con la pubblicazione (1921) del romanzo Batouala di René Maran (1887-1960), che era un attacco violento al sistema coloniale francese. Nel 1927 il movimento che faceva capo alla rivista Lucioles del poeta Gilbert Gratiant cercò deliberatamente nell'utilizzazione del creolo, nel folclore e nell'indigenismo un ritorno alla terra antillana. Ma la svolta forse più decisiva fu operata da Étienne Léro (1909-1939), René Menil (n. 1907) e Jules Monnerot (n. 1908), che insieme fondarono a Parigi la rivista Légitime défense (1932), manifesto di sfida contro i colonizzatori, la borghesia di colore delle Antille, di rivendicazioni dell'autenticità afro e di adesione al surrealismo e al comunismo. Nel 1934 la rivista L'Étudiant noir, fondata tra gli altri dal grande poeta martinicano Aimé Césaire (n. 1913), si sganciava dal surrealismo e dal comunismo per dare la priorità ai valori culturali africani. Nel 1939 apparve il Cahier d'un retour au pays natal, di Aimé Césaire, vero manifesto del movimento della Négritude, che alla Martinica trovò maggiori aderenti fra i poeti (Lionel Attuly, Charles Calixte, Georges Desportes) che fra i romanzieri. Fra questi ultimi sono degni di nota: Joseph Zobel, Raphaël Tardon, Mayotte Capécia, Léonard Sainville e soprattutto Édouard Glissant (n. 1928), che con il romanzo La lézarde vinse il premio Renaudot nel 1958. La Négritude è diventata però presto un luogo comune, un inautentico tema estetico-sentimentale, e in questo senso è stata aspramente criticata da uno dei più grandi pensatori moderni, il martinicano Frantz Fanon (1925-1961), i cui saggi socio-politici, notevoli per profondità e audacia, hanno ispirato il pensiero rivoluzionario del continente africano e hanno valso all'autore una fama mondiale. Il tema della ricerca di un'identità perduta forma il substrato di una letteratura che, dopo il periodo della Négritude, si riconosce nella teoria dell'“antillanità” propugnata ancora da Glissant: rinunciando alle remote e riduttive radici africane, egli vuole ancorare i Martinicani alla propria terra, collegandoli al passato storico non di una razza ma di un popolo, forgiato da secoli di sofferenza e di lotta. Al pensiero di Glissant si rifà, in chiave marxista, René Menil; tra gli altri, citiamo X. Orville (n. 1932), C. Masson (n. 1937), V. Placoly (n. 1946), R. Brival (n. 1950), P. Chamoiseau (n. 1953). Vent'anni dopo il movimento della Négritude, A. Césaire in Moi, laminaire (1982) invita a rileggere una letteratura che si è riconosciuta nella sua specificità antillana (comprendente anche le isole della Guadalupa, di Haiti e la Guyana). Nell'opera di R. Ménil, Tracées (1981), si richiamano le condizioni estetiche senza le quali tale letteratura non può essere riconosciuta né convalidata; la sua specificità risiede nella mescolanza tra il creolo e il francese. In questa linea si situano il Discours antillais (1981) di É. Glissant e l’Éloge de la Créolité (1989) di J. Barnabé. P. Chamoiseau in Texaco (1992), che ha vinto il premio Goncourt, opera sulla complicità linguistica tra francese e creolo attraverso collages mal tradotti o in un francese formulato a partire dal creolo. Lo spirito antillano nutre due tipi di opere, da una parte quelle romanzesche che ricompongono un'unità nella diaspora che ha disperso gli autori caribici e che seguono spesso i percorsi tortuosi dei loro autori fino in Europa o in Africa; dall'altra le opere che invece di cercare di ridurre la Martinica a simboli si sforzano di offrire un'altra verità sul Paese. In questa seconda categoria s'iscrive Pays rêve, pays réel (1985) di É. Glissant. Questo autore continua con successo la sua attività letteraria, con Tout-monde (1993), Introduction à une poétique du divers (1996) che si dimostrano opere di un certo rilievo. Anche P. Chamoiseau ha conosciuto uno sviluppo importante, con Martinique (1991), Chemin d’école (1994) e Guyane, traces; mémoire du bagne (1994) scritto con R. Hammadi.

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