Papadiamándis, Aléxandros

narratore greco (Skìathos, Sporadi, 1851-Atene 1911). Collaborò a giornali e riviste con traduzioni (Turgenev, Maupassant, Dostoevskij, Daudet), racconti, note di diario e ricordi, e fece il cantore nelle chiese, conducendo una vita tribolata e segnata, specie negli ultimi anni, dall'etilismo. Autore di oltre 120 racconti, rimase sostanzialmente estraneo al fervore demoticistico di Psicharis e al risveglio culturale greco degli ultimi decenni dell'Ottocento, mantenendosi fedele alla lingua pura, benché alleggerita dalle forme più arcaizzanti. Il suo interesse fu monopolizzato dall'isola natale, la quale costituì la fonte prima e totale d'ispirazione di Papadiamandis, che sempre aderì a una realtà greca, anche se non fu immune da influssi della grande letteratura russa dell'Ottocento. Acuti sono gli accenti di dolore e le grida di rivolta, soprattutto quando l'accanirsi del destino contro i più deboli dà la piena consapevolezza dell'assurdo e inasprisce il senso generale della meschinità della condizione umana. Emblematico è il racconto L'assassina (1903), con la terribile esperienza d'una donna che sottrae, uccidendola, la nipotina a un futuro di servitù e privazioni, sentendosi, in tale scelta aberrante, interprete ed esecutrice d'un disegno di superiore giustizia. La vasta produzione di Papadiamandis fu raccolta solo dopo la sua morte in un corpus di 11 volumi, senza alcun ordine cronologico o tematico, e riorganizzata più tardi in 6 volumi da G. Valetas.

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