Sciènza nuòva, La-

opera di G. B. Vico. Frutto di venticinque anni di “aspra meditazione”, il capolavoro di Vico ebbe il suo primo germe nella Scienza nuova in forma negativa, stesa tra il 1723 e il 1725 e non pubblicata per difficoltà finanziarie; vide poi la luce nel 1725 con il titolo Principi di una Scienza nuova dintorno alla natura delle nazioni e fu arricchita nella seconda edizione del 1730 (Scienza nuova seconda) e nell'ultima del 1744. Secondo Vico gli uomini si sono stranamente affannati a studiare il mondo della natura, “del quale, perché Iddio egli il fece, esso solo ne ha la scienza”, e hanno trascurato il mondo civile, i cui principi, rintracciabili entro le modificazioni della mente umana, costituiscono le leggi della “storia ideale eterna”. La scienza nuova è quindi l'autocoscienza del processo storico come opera sociale degli uomini e si fonda sul nesso della filologia, che fornisce la conoscenza del certo, con la filosofia, che insegna il vero. La storia si riconduce, per Vico, al succedersi di tre età, corrispondenti alle tre fasi dello sviluppo mentale degli uomini che “dapprima sentono senza avvertire, dipoi avvertono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura”: all'età del senso o degli “dei” succede l'età della fantasia o degli “eroi” e infine l'età della ragione o degli “uomini”. Giunta al culmine dell'ultimo stadio, l'umanità ricade nella barbarie, aprendo così un nuovo ciclo. Pur essendo arcaica nella sua impostazione generale, la teoria dei “corsi e ricorsi” fornisce però al filosofo la chiave per comprendere l'uomo primitivo: la modernità del pensiero vichiano consiste appunto nello sforzo di ricostruire la mentalità degli “stupidi insensati ed orribili bestioni”, i cui miti sono considerati da Vico come una forma prelogica di conoscenza della realtà. L'insorgere nell'oscura coscienza dei primitivi della prima aurorale forma di consapevolezza si accompagna con l'invenzione del linguaggio poetico; la poesia pertanto, affermandosi prima della riflessione, possiede un valore autonomo: tesi, questa, di capitale importanza nella storia dell'estetica moderna. Corollario di tale dottrina è la “discoverta del vero Omero”: non nei riposti ammaestramenti morali dei suoi poemi, ma nel vigore fantastico consiste la vera grandezza di Omero; anzi, l'Iliade e l'Odissea non sono opere di un solo autore, ma il risultato di una creazione anonima e collettiva del popolo greco: sono così gettate le basi della “questione omerica”. Allo stesso modo la grandezza di Dante non è affidata alla robustezza della costruzione teologico-dottrinaria, ma all'energia primitiva dei sentimenti, che fa di lui il “toscano Omero” e il segno di quella rinnovata barbarie che è il Medioevo. Di stile oscuro e contorto e al tempo stesso lapidario e solenne, La Scienza nuova è dominata da una tensione eroica, quale si addice alla straordinaria avventura della discesa agli inferi della barbarie da cui è scaturita la civiltà umana.

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