affrancazióne

Indice

sf. [sec. XVIII; da affrancare].

1) L'affrancare.

2) Esenzione dal servizio militare, in vigore fino alla metà del secolo scorso, che si otteneva procurando i mezzi per un servizio sostitutivo.

3) Poco comune per affrancatura.

Diritto

Il termine introduce, fin dall'antichità, il concetto di riscatto e di liberazione da un obbligo gravante in perpetuo su una persona o da una servitù cui è sottoposta una cosa: la liberazione ne segna la fine definitiva dell'onere, mentre il riscatto sottintende la contropartita che si deve pagare (in genere una somma di danaro) per potersi affrancare. A) Affrancazione da enfiteusi, facoltà di poter riscattare la proprietà di un bene liberandolo da un diritto altrui gravante su di esso. In senso più stretto la facoltà concessa all'enfiteuta di diventare proprietario di fondo. L'affrancazione del fondo avviene mediante il pagamento di una somma di denaro determinata in base alla legge (vedi anche enfiteusi). Qualora manchi l'accettazione del proprietario, l'enfiteuta può ottenere una sentenza costitutiva che pronunzia l'affrancazione. B) Affrancazione da prestazioni perpetue, riscatto da onerosità che gravano su un fondo; se si tratta di canone o rendita in danaro, il proprietario deve pagare una somma corrispondente alla capitalizzazione della prestazione annua; se invece la prestazione è dovuta in derrate, si deve fare una media del loro valore nell'arco degli ultimi dieci anni (Codice Civile, art. 1865-1869). C) Affrancazione da usi civici, l'affrancazione avviene mediante la cessione di una parte del fondo al comune o all'associazione agraria titolare. § Affrancazione dello schiavo, presso gli Ebrei gli schiavi di origine israelitica riacquistavano la loro libertà nel settimo anno di servitù; inoltre il padrone era obbligato a liberare lo schiavo quando avesse ecceduto nel batterlo; a simile diritto poteva appellarsi anche la prigioniera che viveva in concubinato con il suo padrone, quando fra loro era cessata la relazione sessuale. Nella Grecia antica l'affrancazione avveniva normalmente con la corresponsione di una somma da parte dello schiavo; oppure per liberalità del padrone, come nel caso, abbastanza frequente, di etere; talora, invece, l'affrancazione rappresentava il premio con cui la polis ricompensava un importante servizio resole dallo schiavo. Qualora il contratto di affrancazione avesse contemplato prestazioni all'ex padrone da parte dello schiavo liberato e questi fosse risultato inadempiente davanti al tribunale del polemarco, ritornava alla sua condizione di schiavo; se invece l'accusa risultava falsa, era ipso facto libero da ogni prestazione per l'avvenire. A Roma l'istituto dell'affrancazione si chiamava manumissio e avveniva per finta rivendicazione della libertà (adsertio in libertatem) da parte dell'adsertor libertatis davanti al magistrato; o con l'iscrizione dello schiavo nelle liste del censo; ovvero, per dichiarazione testamentaria del suo padrone. Tuttavia l'affrancazione poteva avvenire anche extra legem per dichiarazione del padrone davanti ad amici, per lettera o in altro modo atto a esprimere la sua chiara volontà di liberare lo schiavo. In tal modo non mutava la condizione giuridica dello schiavo, ma lo stesso pretore ne difendeva la libertà effettiva anche contro le pretese dell'ex padrone di ridurlo nuovamente in schiavitù. La legge Iunia (44-27 a. C.) attribuì a questi schiavi liberati la latinitas, che giuridicamente li collocava a metà fra i cittadini romani e i peregrini. Nel diritto germanico l'affrancazione si otteneva con la manomissione, ma anche come conseguenza della cattiva condotta del padrone nei confronti dei suoi schiavi (gravi percosse, adulterio con la schiava o con la moglie dello schiavo, ecc.). Nel Medioevo l'affrancazione era l'atto con cui i servi della gleba venivano liberati, collettivamente o singolarmente, dalla loro condizione servile. In molti comuni italiani l'affrancazione era concessa al servo che avesse soggiornato in città per un determinato numero di anni (vedi anche servitù).

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