Generalità

La successione è un fenomeno giuridico di carattere generale, che comporta una modificazione nel soggetto attivo o passivo del rapporto giuridico, per cui un soggetto subentra in uno o più rapporti giuridici che fanno capo a un altro soggetto. Perché possa avvenire la successione è innanzitutto necessario che il rapporto giuridico abbia a oggetto diritti disponibili. Bisogna poi tenere presente che la modificazione nel rapporto giuridico avviene solo sul piano soggettivo, per cui a un soggetto ne “succede” un altro; il diritto (o i diritti) in oggetto resta immutato, per cui se questo diritto non era validamente costituito in colui che lo trasferisce, neppure validamente si costituirà nel successore. La successione trova applicazione in vari istituti giuridici: è successore il compratore rispetto al venditore; sono successori l'erede e il legatario rispetto al defunto; si parla infine anche di successione nel credito, di successione tra enti pubblici (per esempio nell'ipotesi di un Comune “fuso” con altro Comune). La successione può essere a titolo universale o particolare secondo che si succeda in tutti i rapporti giuridici (intendendosi in essi non solo quelli attivi, ma anche quelli passivi), o solo in uno o alcuni di essi. Nel nostro ordinamento giuridico, la successione universale si verifica solo nel caso di successione per causa di morte. Tale forma di successione consiste nel subentrare, da parte di eredi e legatari, nella complessità dei rapporti giuridici che fanno capo al defunto. Essa può essere a titolo universale quando riguarda l'erede e a titolo particolare quando riguarda il legatario. L'erede succede in tutti i rapporti giuridici che fanno capo al de cuius, siano esse attività siano passività; il legatario succede in uno o più rapporti giuridici, ma non nella totalità di essi. La successione si apre al momento della morte nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto; l'eredità, ossia l'intero patrimonio, si può devolvere, ossia trasferire agli eredi, per legge (successione legittima) o per testamento (successione testamentaria). Si applica la successione legittima quando manca in tutto o in parte quella testamentaria, ossia quando il defunto non ha disposto in vita, con atto revocabile steso secondo le forme previste dal Codice Civile, la devoluzione del proprio patrimonio, oppure quando il testamento non è completo o è invalido. Il legato invece presuppone sempre un testamento in cui possono essere contenute una o più disposizioni a titolo particolare o “legati”. Il Codice Civile vieta che si possa disporre, con qualunque tipo di convenzione, della propria successione, come pure che il futuro erede possa disporre di diritti che gli spetteranno in una successione non ancora aperta. L'erede subentra nell'intero patrimonio del defunto; è dunque un successore a titolo universale; il legatario, invece, è un successore a titolo particolare: acquista generalmente un bene o un diritto che si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore, senza bisogno che il legatario debba accettarlo, salva la facoltà di rinunziarvi. Al contrario l'erede deve manifestare esplicitamente o implicitamente la propria accettazione dell'eredità. Infatti, con l'accettazione, il patrimonio del defunto si “confonde” col patrimonio personale dell'erede e questi diviene responsabile nei confronti dei creditori del defunto anche col proprio patrimonio. È per evitare questa “confusione”, che potrebbe risolversi a danno dell'erede, che la legge consente a questi l'“accettazione con beneficio d'inventario”. Gli effetti di questa forma di accettazione consistono nell'evitare questa “confusione” tenendo distinto il patrimonio del defunto da quello dell'erede. A questo proposito, in alcuni casi la legge impone addirittura l'accettazione con beneficio d'inventario (come nel caso di eredità devolute a minori o interdetti, a minori emancipati o inabilitati o a persone giuridiche). Questa confusione del patrimonio del defunto con quello dell'erede può portare però anche uno svantaggio ai creditori del defunto e ai legatari, i quali si vengono a trovare, con l'apertura del testamento, in posizione egualitaria ai creditori dell'erede. Di conseguenza la legge consente che i creditori e i legatari del defunto chiedano la separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede, assicurandosi in tal modo il soddisfacimento dei propri crediti e legati con i beni del defunto, a preferenza dei creditori dell'erede. L'erede può infine anche dichiarare la propria rinunzia all'eredità e in questo senso agisce anche la “cautela sociniana”, cioè l'abbandono della quota di eredità da parte dell'avente diritto. In tal caso è come se non fosse mai stato chiamato all'eredità. Se non vi sono eredi, oppure se costoro non hanno accettato e non sono nel possesso dei beni ereditari, l'eredità si dice giacente. Perché si possa “succedere” bisogna però avere la capacità di succedere: hanno questa capacità tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo dell'apertura della successione. Si intende concepito al tempo dell'apertura della successione chi è nato entro 300 giorni dalla morte del de cuius. Possono però ricevere per testamento i figli non ancora concepiti di persona vivente al tempo della morte del testatore. È escluso dalla successione l'indegno, per esempio colui che ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente del medesimo, purché non ricorra una causa di esclusione della punibilità, chi ha calunniato una di queste persone, denunziandola per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, o ha falsamente testimoniato contro costoro, imputati per i precedenti reati; oppure colui che con dolo o violenza ha indotto o impedito il de cuius a fare, revocare o mutare il testamento, o chi ha soppresso o alterato il testamento o ha fatto un testamento falso o ne ha fatto coscientemente uso. In casi stabiliti dalla legge l'indegno però può essere riabilitato. La successione può poi avvenire per “rappresentazione”. Quando l'erede non può o non vuole accettare l'eredità e il legatario il legato, i suoi discendenti legittimi o naturali subentrano nel suo posto e al suo grado. Con tale istituto della rappresentazione si è voluto tutelare i diritti dei discendenti legittimi o naturali dell'erede che non voglia accettare l'eredità o non possa perché premorto o indegno. In tal caso i suoi discendenti legittimi e naturali succedono al suo posto e al suo grado e la divisione si fa per stirpi. La rappresentazione ha luogo in linea retta a favore dei discendenti legittimi, legittimati, adottivi o naturali del defunto e in linea collaterale a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle; essa si applica anche nelle successioni testamentarie, nell'ipotesi in cui il testatore non abbia previsto delle sostituzioni. L'erede dunque, unico successore a titolo universale, è chiamato all'eredità per legge o per testamento. Vi è però un gruppo di eredi (legittimari) ai quali la legge riserva una parte di eredità che non può essere modificata neppure dalla volontà del testatore e neppure da esso intaccata in vita. Sono legittimari i parenti più stretti del defunto, ossia il coniuge, i figli legittimi, a cui sono equiparati i legittimati e gli adottivi, i figli naturali e gli ascendenti legittimi. A essi spettano le quote stabilite dal Codice Civile anche se in contrasto con disposizioni testamentarie. Se esse eccedono la quota di cui il testatore poteva disporre, sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima. Anche le donazioni effettuate in vita dal defunto, quando eccedano la quota di cui poteva disporre, sono soggette a riduzione. I legittimari però devono imputare alla quota loro riservata quanto hanno ricevuto con donazioni o legati. Con la successione dunque l'intero patrimonio del defunto passa agli eredi; di questo patrimonio il defunto può in vita disporre entro una certa quota che comunque è riservata a certi eredi, sia che alla morte si apra una successione legittima, sia che, in presenza di un testamento valido, si apra una successione testamentaria.

Imposta di successione

Imposta riguardante i trasferimenti della proprietà, uso o godimento di beni e altri diritti esistenti nello Stato causati dalla morte o da assenza dichiarata della persona alla quale appartengono. Essa rappresenta il corrispettivo dei servizi che lo Stato offre con la tutela giuridica del trasferimento della proprietà. La sua prima applicazione in Italia avvenne nel 1862, nell'ambito dell'imposta di registro. L'aliquota che, in un primo tempo, era proporzionale, si trasformò in progressiva nel 1902. L'imposizione delle successioni ha acquisito una disciplina autonoma da quella di registro solo nel 1923. Il tributo si componeva di due diverse imposte: imposta sul valore globale dei trasferimenti a titolo gratuito, che gravava sul valore globale netto dell'asse ereditario, incluse le donazioni e le liberalità; imposta di successione vera e propria, che si applicava alle singole quote ereditarie e ai legati dopo aver dedotto dal valore complessivo dell'asse ereditario l'ammontare dell'imposta sul valore globale. I tributi erano accertati mediante la denuncia obbligatoria all'ufficio del registro. L'omissione di tale denuncia causava l'applicazione delle sovrattasse e soprattutto l'impossibilità di effettuare le azioni di diritto civile per la tutela dei diritti successori. Dal 1972 venne applicata una nuova disciplina, che comportava: l'unificazione in un solo tributo delle due precedenti imposte, una nuova procedura di accertamento, liquidazione, riscossione dell'imposta e un nuovo termine per la presentazione della dichiarazione ereditaria. Le esenzioni riguardavano la successione a favore dello Stato, regioni, province, comuni e altri enti pubblici, le collezioni d'arte, i titoli di Stato o garantiti dallo Stato. Il 28 giugno 2001 il Consiglio dei ministri ha annunciato l'inserimento in un disegno di legge, confermato al 10 ottobre 2001, di alcune misure finalizzate all'abolizione della tassa sulle successioni e sulle donanzioni. L'oggetto dell'imposta è costituito dal trasferimento di beni e di diritti, dipendente dalla successione a causa di morte e dal trasferimento a titolo gratuito di beni e di diritti per atto tra vivi. L'imposta è dovuta dagli eredi, dai legatari e dai donatari. Per quanto concerne le aliquote si passa da un minimo del 3% per i valori compresi tra i 120 e i 200 milioni a un massimo del 27% per lo scaglione oltre i tre miliardi. La base imponibile è costituita dal valore netto dell'asse ereditario globale cioè dal valore venale dei beni e dei diritti trasferiti, diminuiti delle passività gravanti su di essi.

Diritto greco

Nel diritto greco classico, la successione appare strettamente legata al sistema dell'oîkos (complesso di persone, beni, riti), il cui mantenimento e conservazione deve essere assicurato e il cui capo non può essere che un cittadino maschio di pieno diritto. La successione può essere sia ab intestato sia testamentaria: quest'ultima ha luogo soltanto nell'ipotesi di mancanza di un successore legittimo. La successione ab intestato tiene conto della discendenza in linea maschile e dei rapporti di consanguineità, riconosciuti dal diritto sacrale e familiare. In primo luogo erano chiamati a succedere i discendenti legittimi, con prevalenza dei maschi sulle femmine (se uniche eredi, le donne dovevano essere rappresentate nei loro diritti da soggetti civilmente capaci); in secondo luogo i collaterali, in base a determinati criteri. Quanto alla successione testamentaria, che presenta un carattere sussidiario, è opportuno distinguere l'ipotesi dell'atto destinato a regolare i rapporti interni del nucleo familiare e a dettare disposizioni di carattere personale o familiare o relative al culto – atto sempre realizzabile – da quello con cui il capo dell'oîkos disponeva dei beni familiari, legittimo soltanto in mancanza di discendenti diretti. In presenza di una figlia, l'istituzione di erede si configura come nomina di un figlio adottivo che eserciterà la potestà sulla donna. Per i motivi indicati, poteva far testamento soltanto il cittadino maschio di pieno diritto. I discendenti diretti non erano tenuti a compiere atti di accettazione, mentre qualsiasi altro istituito doveva inoltrare apposita richiesta all'arconte per essere immesso nei beni ereditari.

Diritto romano

La successione consiste nel subentrare di un soggetto nel complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad altro soggetto. Intesa sempre come successione a titolo universale (soltanto nel diritto giustinianeo si comincia a parlare di successione a titolo particolare) può realizzarsi sia inter vivos sia mortis causa. Nella prima ipotesi costituiscono presupposto per la successione: l'assoggettamento di un pater familias all'autorità di un altro, la sottomissione della donna sui iuris a un pater familias, la vendita del patrimonio dell'insolvente. Nella seconda ipotesi, l'apertura della successione è ricollegata al fatto giuridico della morte di un soggetto e ha per contenuto l'hereditas, complesso di rapporti giuridici, attivamente e passivamente trasmissibili, patrimoniali e non; col passare dei secoli si accentuò il carattere patrimoniale dell'eredità. Il subentrare del nuovo soggetto portò confusione tra il patrimonio ereditario e quello dell'erede, che era tenuto a rispondere dei debiti anche oltre l'attivo (responsabilità, che andava oltre l'entità dell'eredità). La chiamata dell'erede poteva avvenire per testamento o ab intestato, secondo le regole stabilite dal diritto civile, più tardi integrate dal pretore. Nella seconda ipotesi erano chiamati in primo luogo i sui (discendenti in potestate), a ciascuno dei quali competeva la qualifica di heres, ivi compresi gli adottivi e la moglie in manu ed esclusi gli emancipati; in mancanza di questi il complesso patrimoniale era devoluto all'adgnatus proximus, secondo l'uso dell'agnazione, indi ai gentili. Il pretore innovò in materia concedendo la bonorum possessio, cioè il godimento dei beni ereditari (ma senza attribuzione della qualifica di heres) nel seguente ordine: figli (compresi gli emancipati), agnati, cognati, marito o moglie. Nella successio ne testamentaria, la chiamata si fondava su apposito atto di ultima volontà, il testamento. L'erede testamentario poteva essere anche un estraneo, sia in caso di mancanza di sui, sia a seguito di espressa diseredazione di questi. Mentre i sui e anche i necessari (schiavi manomessi e istituiti) non erano tenuti a compiere l'atto di accettazione, esso era richiesto all'erede estraneo. Nell'ipotesi di eredità onerosa, il pretore dispose dei rimedi a tutela dei sui e dei necessari: per i primi il diritto di astenersi da qualsiasi gestione dell'eredità, per i secondi il beneficium separationis. Nel primo caso il suus conservava il titolo di heres, mentre il patrimonio veniva venduto a nome del defunto; nel secondo caso, pur evitandosi la confusione dei due patrimoni, la vendita era fatta a nome del liberto, che ne sopportava la conseguente infamia, ma che faceva salvi acquisti ulteriori. La confusione dei due patrimoni poteva recare danno ai creditori del defunto, in caso di erede gravato da molti debiti: a loro favore venne introdotta la separatio bonorum. L'erede estraneo poteva soltanto scegliere tra accettare o rifiutare l'eredità. Soltanto nel diritto giustinianeo venne introdotto, a favore di tutti gli eredi, il principio dell'accettazione con limitazione di responsabilità, cioè con beneficio d'inventario.

Successione dinastica

Passaggio dei poteri sovrani dal titolare all'erede nell'ambito della stessa famiglia dinastica. Il diritto dinastico si dice “legittimista” proprio perché prende a fondamento l'esercizio continuato della sovranità da parte di una stessa famiglia, per cui l'organismo familiare si confonde con quello statale a tal punto che in passato la legittimità e la personalità internazionale di uno Stato erano accettate dagli altri Stati solo se detto Stato era retto dalla “legittima” dinastia. È il principio che si trova alla base dei trattati del 1815 e che ispirò la Santa Alleanza. Il diritto dinastico fu prevalente dalla fine del sec. XVIII all'inizio del XIX, quando furono emanate le prime Carte costituzionali. Esso ebbe validi assertori fra i giuristi tedeschi, che ne proclamarono la validità non intaccabile nemmeno da eventuali innovazioni, quale la limitazione del potere regio. In Italia la successione al trono, simile a quella di altre dinastie e specialmente a quella francese, sulla quale si modellava, avveniva come un trapasso dal titolare all'erede del patrimonio della famiglia sovrana: la legge di successione era stata così definita da Amedeo V di Savoia e tale rimase per i suoi successori. Con la proclamazione dello Statuto di Carlo Alberto (4 marzo 1848) le norme della successione al trono furono integrate nella nuova Costituzione senza intaccare il diritto dinastico come era stato fino ad allora inteso e attuato: anche nella nuova Costituzione il sovrano rimaneva tale “per grazia di Dio”. Un'innovazione rivoluzionaria fu portata invece dalla legge del 1861, che sostituiva al diritto dinastico quello dello Stato, per cui la dinastia sabauda trovò fondamento al suo diritto a governare lo Stato nelle formule dei plebisciti e delle annessioni nello spirito dei nuovi ordinamenti costituzionali.

Per il diritto

B. Biondi, Diritto ereditario romano. Parte generale, Milano, 1954; U. von Lubtow, Die Entwicklungsgeschichtlichen Grundlagen des Römischen Erbrechts, in “Studi De Francisci”, I, Milano, 1956; A. Cicu, Successione per causa di morte, Milano, 1961; A. Torrente, Manuale di diritto privato, Milano, 1968; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990.

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