amoralità

sf. [sec. XX; da amorale]. L'essere amorale. In filosofia, categoria che comprende tutto ciò che è indifferente ai valori morali. A differenza dell'immoralità, che definisce tutte le violazioni alla norma etica, l'amoralità definisce le azioni che dalla norma etica prescindono completamente. § Propria del pensiero moderno-rinascimentale è la scoperta dell'autonomia delle varie sfere di vita spirituale, per cui ciascuna di esse deve valutare i suoi prodotti sulla base di criteri che le sono intrinseci, in opposizione alla loro gerarchizzazione caratteristica del mondo greco e medievale. Così Machiavelli teorizzò l'autonomia della vita politica e il machiavellismo sviluppò una teoria della ragion di Stato, come insieme delle norme atte alla conservazione e allo sviluppo della potenza statale, a prescindere dalle esigenze etico-religiose. A questi motivi si rifà in qualche modo Benedetto Croce quando, ridotta la politica all'economia, distingue quest'ultima sfera come quella in cui valgono i soli rapporti di forza, da quella morale, che all'efficacia associa l'universalità del fine. In questa prospettiva va pure ricercato il senso dell'autonomia dell'arte nei confronti della morale, sostenuto da tante poetiche contemporanee. Un atteggiamento diverso di fronte alla morale assumono Nietzsche e Marx, le cui dottrine spesso sono indicate col termine di amoralismo, in quanto entrambi rifiutano di ricorrere a criteri morali per giudicare individui o eventi storici. Nietzsche infatti chiama amoralismo la sua ribellione nei confronti della morale corrente in nome dei più profondi valori vitali, assunti come i soli autentici. Marx poi giunge a considerare le idealità morali mere ideologie, espressioni dei conflitti storico-economici, assunti come l'unica realtà e l'unico motore della storia.

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