antìtesi

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sf. [sec. XVII; dal greco antíthesis, posizione contraria].

1) Figura retorica che consiste nella contrapposizione di due locuzioni perché dal loro contrasto risalti meglio ciò che si vuole dire. Ce ne offrono un esempio i versi manzoniani che rievocano la vicenda umana di Napoleone:

“Tutto ei provò: la gloria

maggior dopo il periglio,

la fuga e la vittoria,

la reggia e il triste esiglio:

due volte nella polvere,

due volte sull'altar”.

A questo riguardo un valore paradigmatico ha il sonetto Pace non trovo e non ho da far guerra, in cui Petrarca esprime l'inquietudine del suo animo attraverso una serie di antitesi. Questo procedimento stilistico può però facilmente scadere in uno sterile gioco verbale, come si nota abbastanza spesso specialmente nei secentisti.

2) Per estensione, contrapposizione, opposizione: “gli veniva di qualificare il Decamerone come l'antitesi della Divina Commedia” (Croce); essere in antitesi con il modo di pensare dei compagni.

3) In filosofia, opposizione tra due termini o proposizioni contrari o contraddittori, uno dei quali viene assunto come tesi. In questo senso Kant chiama antitesi il secondo termine di un'antinomia e lo considera una contraddizione insuperabile. Secondo Hegel l'antitesi è il secondo momento del procedimento dialettico, ossia il momento negativo-razionale, superato e riassorbito poi dalla sintesi.

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